A fronte del continuo aumento dell’entropia del sistema delle relazioni internazionali viene da chiedersi a chi giova la riconfigurazione in atto dei rapporti di forza fra potenze. La risposta è chiara per la maggior parte degli analisti. La Cina, alle prese con i suoi problemi domestici, sta capitalizzando le difficoltà degli Stati Uniti e sta gettando le basi per un nuovo ciclo egemonico.
Ma se risulta facile vedere nella Cina il soggetto geopolitico più forte di questa fase di transizione, è alquanto difficile dire come deciderà di giocare le proprie carte. Nelle tre aree più importanti dal punto di vista geo-strategico la Cina è riuscita a stringere legami di dipendenza con le potenze che intendono ridisegnare a proprio favore gli equilibri della propria regione. La Russia in Europa, l’Iran in Medio Oriente e la Corea del Nord in Asia sono le forze che apertamente stanno sfidando il sistema di alleanze regionali con cui gli Stati Uniti si sono assicurati la leadership globale. Benché le relazioni che la Cina intrattiene con i suoi partner siano dinamiche e suscettibili di brusche variazioni che possono sovvertirne gli assetti, è possibile scorgere un disegno complessivo dietro il progressivo innalzamento della tensione del teatro mediorientale e asiatico.
Ad esempio, i successi dell’esercito russo possono spiegarsi anche grazie al massivo sostegno nordcoreano che sta fornendo al regime di Putin le munizioni di cui ha bisogno per mettere in crisi gli ucraini. L’ascesa nel corpo della diplomazia cinese di Liu Jinchao, capo del Dipartimento internazionale del Partito Comunista Cinese, segna un ulteriore consolidamento della linea dettata da Xi Jinping alla politica estera di Pechino. A riguardo non è possibile immaginare che Xi non abbia dato il via libera alla Nord Corea per rifornire di munizioni l’esercito russo. Un gioco pericoloso che potrebbe permettere a Pyongyang di conquistare l’autonomia strategica, ma che vale la pena di rischiare, poiché garantisce a Pechino di poter utilizzare un’altra leva di pressione sugli alleati di Washington nel teatro asiatico.
Un discorso simile si potrebbe estendere all’Iran e ai suoi proxy, visto che recentemente è stata resa ufficiale la partecipazione della marina della repubblica islamica ad esercitazioni militari congiunte con quella di Cina e Russia. Un rapporto sempre più intenso, quello fra i tre Paesi, che recentemente ha spinto alcuni analisti a parlare di “asse del disordine” per spiegare il tipo di legame che unisce le tre potenze, che al momento hanno lo stesso obiettivo, ovvero destrutturare il vecchio ordine mondiale basato sulla leadership globale americana.
Questo tipo di lettura ha sicuramente il merito di spiegare la natura della convergenza strategica in atto, ma tende a sovrastimare la forza delle tre potenze revisioniste del sistema delle relazioni internazionali. In realtà esse si stanno avvantaggiando delle difficoltà dell’amministrazione Biden e dell’incertezza che accompagna l’eventuale vittoria di Trump alle prossime presidenziali USA, che avrebbe grandi conseguenze per il futuro della NATO e l’appoggio occidentale all’Ucraina. Un orizzonte che si caratterizza per il fatto che la possibilità che ci siano altri conflitti su scala regionale è decisamente realistica.
Inoltre, la narrazione su cui si fonda l’asse Pechino-Mosca-Teheran si basa sul fatto che si fanno promotori di un nuovo ordine multipolare antagonista rispetto a quello unipolare e a guida americana. Indipendentemente da come Xi intenda realmente il concetto di multipolarità, è evidente che non ha alcun interesse nello sfidare apertamente gli americani e preferisce assegnare ai propri alleati, più o meno palesi, il compito di impegnare gli USA su vari fronti.
Torniamo, quindi, al punto di partenza, ovvero a fronte di una ridefinizione degli equilibri geo-strategici bisogna provare a intuire il modo con cui Pechino intende raggiungere i suoi obiettivi. La Cina non è intenzionata a rinunciare al modo con cui si autorappresenta e legittima la propria condotta; Pechino, cioè, vuole mostrarsi come il fautore di un sistema delle relazioni internazionali più equilibrato ed equo, in cui quelli che sono stati definiti i Paesi del Sud globale possano far sentire la propria voce. Un atteggiamento che apparentemente contrasta con il sostegno alla Russia e all’Iran, ma a ben vedere il sostegno di Pechino non è stato mai dato in modo plateale ed è sempre stato accompagnato da una grande dose di ambiguità in cui coesistono aiuti militari e inviti al negoziato. All’interno di questo frame non risulta dissimile il rapporto con la Nord Corea, in cui il governo cinese preferisce demandare alla Russia la gestione dell’imprevedibile alleato.
A questo punto possiamo immaginare il modo in cui la Cina proverà ad imporsi nel prossimo futuro, cosa possibile solo se teniamo chiaro sullo sfondo il vero obiettivo della strategia cinese: la riunificazione con Taiwan. Il caos che la Cina contribuisce ad alimentare prima o poi genererà da parte dei principali soggetti del sistema delle relazioni internazionali la richiesta di un nuovo ordine. Detto altrimenti, la disgregazione dell’equilibrio è funzionale all’emersione di una domanda di stabilità a cui Pechino intende rispondere. Una postura che è connaturata alla cultura cinese, che storicamente non ha mai legittimato la propria leadership solo con la forza militare. Quando la Cina potrà rispondere in modo positivo alla domanda di stabilità potrà mettere sul piatto la riunificazione con Taiwan, che in questo caso potrà avvenire in modo pacifico. Una possibilità che è indubbiamente la più auspicata dal governo cinese.
È un gioco complesso che può essere messo in crisi in qualsiasi momento dal numero di variabili sul tavolo e dalla presenza di soggetti non statali e con intenzioni diverse, ma prima o poi il problema di un nuovo ordine globale sarà la questione più urgente da affrontare e determinerà il vincitore di questa fase di competizione globale.
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