Strano Paese, quello in cui viviamo. Diviso tra conformismo (di sinistra o di destra poco cambia, sempre di asservimento al potere dostojevskiano e gaberiano, nel senso di Giorgio Gaber, trattasi) e finto anticonformismo. Pretendiamo la libertà, ci indigniamo (e mai ci fu verbo fu più idiota, nel senso etimologico questa volta: allusione per pochi colti lettori) se solo esigono che per evitare di infettare il mondo siamo obbligati alla mascherina. Discutiamo per ore in tivù tra supposti esperti di tutto (avete notato che sono gli stessi buffi personaggi che la settimana scorsa si scannavano a proposito del destino delle tigri bengalesi e la prossima discetteranno del rialzo delle materie prime?), ma poi non mettiamo la testa su un paio di dettagli che forse, dico forse, sono delle vere catene. Gli è che queste catene non le vediamo, ci toccano appena appena, ci sembra non ci riguardino perché tanto non stringono troppo. E invece sono dei lacci tremendi, delle cinghie di cuoio strette al collo dalle quali non ci si libera perché chi le ha fatte è stato un genio: non ce le ha vendute come lo strumento di guadagno (per lui) che esse sono, ma come un piacere (per noi). E così noi siamo assurti a felici discepoli del masochismo e lui/loro a mentore/i del liberismo più sfrenato.
Primo lacciuolo. L’algoritmo. Secondo me se, si chiedesse alla gran parte della gente cos’è un algoritmo risponderebbe con una battutaccia. Tralasciamo di chiederlo agli esperti televisivi in seduta permanente: non sono in vena di assistere a film comici. Ma se lo chiedessimo alla cosiddetta “classe dirigente”, secondo voi quanto risponderebbe? Non “cosa” ma “quanto” ho detto. Secondo me ne farebbe oggetto di un interminabile e insulso discorso di almeno 30 minuti sulla dittatura della modernità, sul potere delle multinazionali e della Triade, ovvero sull’impero del male americano o dei giganti di internet, e via accumulando metafore di pessimo conio e di inconsistente agudeza barocca. Ma l’algoritmo è come i virus: è il vero padrone del mondo. Altro che l’era dei primati!
Nessuno ne parla, anche perché pochi ne conoscono fino in fondo il funzionamento: al limite intuiamo che esso decide quale canzone devi sentire su Spotify. Ma, ad esempio, che esso determini il salario di milioni di lavoratori è materia poco nota, quasi per nulla discussa e per niente affrontata. Eppure, è così: nei call-center, ad esempio, gli algoritmi decidono a chi va la prossima telefonata. Vendi e vendi bene? Bravo/a (ripeto: non sono shwaista o come diavolo si dice): hai diritto a riceverne un’altra. Non vendi, non funzioni, non sei performante? Beh, aspetta che ti dirotto la prossima chiamata in arrivo dal Polo Nord!
Fantasie pentastellate discusse nell’ultimo convegno sui cerchi nel grano e il futuro dei rapporti interstellari? Macché, sono i risultati incontrovertibili dell’ultima indagine INAPP-PLUS sui lavoratori delle piattaforme in Italia.
La Commissione europea ha emanato una direttiva (a proposito: ci aspettiamo le battutone dei soliti esperti di tutto sull’inutilità degli eurocrati!) proprio per cercare di regolamentare un settore che non solo sfugge al controllo di chi dovrebbe lavorare per il Bene Comune, cioè per la giustizia (invito a tutti: rivedere e ristudiare fin nei dettagli il Ciclo del Buon Governo senese), ma anche a chi potrebbe regolare con accordi tra le parti questo pezzo di mondo.
Eppure, mi chiedo, pur se si fosse intervenuti, pur se si facesse un contratto o una legge specificatamente dedicata, potremo sfuggire alla dittatura dell’algoritmo? Possiamo governarne le conseguenze, ordinarne la calata a valle, impedire alle acque di tutto travolgere, fuori di metafora: accodare diritti minimi a questi lavoratori, ma come imbrigliare l’algoritmo? E una volta che avessimo pur detto, con inutilità pari all’enfasi di cui si paluda, che esso, l’algoritmo, deve stare al suo posto, che non può decidere della quota di salario, ecco una volta affermato che il sole sorge e la luna splende, come fare a impedire che a qualcuno di notte vengano messi gli occhiali oscuranti? Gli ispettori dell’Inps? Porelli: già hanno problemi con i cantieri edili (che almeno quelli sono alla luce del sole), figurarsi con delle sofisticate stringhe a risultato binario nascoste chissà dove. E poi al limite sono esperti di diritto mica di matematica o algebra. I sindacalisti? Tiremm innanz (e sia detto con tutto il dolore necessario). La Polizia Postale? Ecco loro sì che ne sanno: ma vi immaginate se, oltre ai pedofili del dark web ed agli stalker dovessero pure rincorrere il frutto (avvelenato) del procedimento sistematico inventato da al-Khuwārizmī, al secolo Muḥammad ibn Mūsa nel nono secolo nella lontana Corasmia?
Il punto è che anche se non se ne parla, quei procedimenti già oggi stanno influendo sulla nostra libertà: non la stanno limitando, né la stanno coartando, la stanno semplicemente usando. Forse, diciamo forse, davvero nessuna legge potrebbe liberare i lavoratori da quei lacci e lacciuoli, come nessuna norma potrà mai impedire a qualcuno di inventarsi uno strumento che egli definirà “neutro” perché il male si agostinianamente si annida nel cuore dell’uomo. Ma forse qualche attenzione occorrerà pure cominciare a porla.
Ma proseguiamo oltre. Il punto della questione non ci sembra solo quello dell’algoritmo e della sua dittatura, ma una costante dei Paesi a bassa intensità di formazione tecnologica e ad alta intensità di pretese sociali. Tipo il nostro, un Paese nel quale devi stare ben attento quando fai il tuo curriculum a non scriverci dentro che hai conseguito il dottorato di ricerca: sei immediatamente inscatolato tra quelli che pretendono un salario adeguato e quindi da tenere alla larga. Consiglio di un vecchio: meglio farlo sapere dopo all’azienda che deve scoprirlo quando tu ormai sei già dentro e a quel punto si accorge che sei una risorsa sconosciuta non un costo e un rischio non preventivato per la carriera di qualche quadro medio! Dicevamo: siamo un Paese che in non pochi casi fa costruire in Cina oggetti che potrebbero benissimo essere prodotti qui, con tecnologie adeguate e costi similari. Ma farli fare in Cina consente di spostare fatiche e impegni oltre che di sfruttare il costo del lavoro di quel Paese. Vogliamo troppo spesso guadagnare puntando sul costo basso e non invece investendo costantemente sulla tecnologia migliore. Il nostro costo sociale è forse più basso di quello di altre parti d’Europa (tipo le totische landen)? Macché, ma là il sistema Paese è pensato per puntare sulla qualità e chi compera sa che il prezzo vale la candela (quasi sempre almeno).
Certo non è dappertutto e sempre così, ma non si tratta neppure di casi marginali. La rincorsa al taglio dei costi del lavoro non produce nulla di buono: non a caso la ricerca di cui dicevamo spiega benissimo che per la gran parte dei lavoratori delle piattaforme digitali quello che svolgono non è un lavoro secondario, ma l’occupazione primaria. Tradotto: quel salario non è integrativo di un altro reddito, ma si tratta proprio della fonte principale di entrate. Da esso dipendono cibo e casa. O dovremmo dire, per essere realisti, miseria e tugurio?
Poi certo la colpa è degli alti costi della busta paga, dello Stato inefficiente, del padrone crudele e affamato: in ogni caso mai è nostra. Nostra di datori di lavoro che usano la via più breve per il guadagno (che spesso non è né la più lucida, né la più lungimirante). Nostra di sindacalisti che dovremmo studiare un po’ di più e retoricheggiare (molto) di meno. Nostra di esperti e appassionati di Bene Comune che dovremmo concentrarci un po’ di meno sulle tattiche del grande risiko della politica e del potere per invece incrementare la nostra competenza.
Già, ma quando mai e dove la competenza ha consentito a qualcuno di far carriera? Forse, diciamo forse, neppure in Università! Eh niente, allora: ci resta solo la speranza inesauribile dataci da quella finestra sull’Eterno apertasi qualche giorno fa. Se Lui è venuto non sarà magari anche perché l’algoritmo non avrà la meglio? O qualcuno vorrà forse farci credere che i pastori furono scelti da un procedimento sistematico di calcolo che li selezionò escludendo fornai, macellai, coltivatori diretti e via elencando categorie di umili lavoratori?
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI