L’esigenza di reagire in modo unanime all’aggressione criminale di un Paese che vuole condividere il suo futuro con l’Europa sta portando i Paesi aderenti all’Ue ad assumere atteggiamenti inediti anche sui temi che hanno registrato forti divisioni nel recente passato, come quello dell’accoglienza e della distribuzione dei profughi.
Nella riunione dei ministri dell’Interno a Bruxelles del 27 febbraio u.s. sono scaturiti alcuni orientamenti che sono destinati a influenzare l’evoluzione delle istituzioni europee sulla materia, in parallelo a quanto auspicato anche per la politica estera e per quella della difesa. Le stime aggiornate segnalano una fuoriuscita di 350 mila profughi già concretizzata presso le frontiere dei Paesi limitrofi aderenti all’Ue (Polonia, Romania, Slovacchia, Ungheria), destinata ad aumentare in modo vertiginoso nei prossimi giorni. Nell’ambito degli organismi internazionali, vengono azzardate le ipotesi di un potenziale tra i 4 e i 5 milioni di persone sfollate nell’ambito dei territori dell’Ucraina meno esposti alle azioni militari od orientate verso i Paesi dell’Unione.
Per questi interventi, messi in campo dalle organizzazioni umanitarie e dalle nazioni confinanti, è stata attivata una prima tranche di 90 milioni di finanziamenti destinati ad implementare gli interventi dell’Onu da incrementare in modo consistente nell’immediato futuro sulla base dei nuovi fabbisogni di accoglienza e di sostegno alle popolazioni sfollate. La riunione dei Ministri incaricati ha consentito di registrare un’unanime disponibilità ad attivare l’accoglienza dei profughi in tutti i Paesi aderenti. Per lo scopo sarà attivata una “Piattaforma della solidarietà” nella qualità di strumento di coordinamento, di gestione e di monitoraggio della distribuzione dei profughi tra i vari Paesi, affidato all’Agenzia europea per l’asilo e a Frontex.
Sulla modalità di accoglienza e di distribuzione, la commissaria europea per l’Immigrazione Ylva Johansson ha annunciato l’intenzione di proporre in termini immediati l’attivazione, per la prima volta dalla sua introduzione, della procedura prevista nella direttiva 2001/55 che prevede la possibilità di rilasciare da parte dei Paesi aderenti un permesso di soggiorno provvisorio di un anno, prorogabile per un massimo di due semestri, per far fronte a dei flussi straordinari e imprevisti di persone sfollate e non rimpatriabili nei Paesi di origine. Questa procedura può essere attivata sulla base di una proposta della Commissione europea approvata dalla maggioranza qualificata dei Paesi aderenti (almeno 15 sui 27 membri) e prevede una modalità di distribuzione dei profughi su base volontaria e previo consenso delle persone interessate.
Una scelta di questo genere, oltre che facilitare i tempi di intervento per il rilascio dei permessi di soggiorno e ad assicurare l’omogeneità dei comportamenti, consente di consolidare la funzione strategica delle istituzioni europee nella gestione dei flussi straordinari precedentemente osteggiata per quelli provenienti dal Mediterraneo e dal Medio Oriente. Nel caso specifico, il limite rappresentato dalla disponibilità ad accogliere i profughi su base volontaria appare superato dalla volontà unanime già espressa da tutti i Paesi aderenti.
In assenza di un auspicabile intervento con queste modalità, vale la pena sottolineare che per i cittadini ucraini è consentito l’ingresso, e lo spostamento, nei Paesi dell’Unione europea senza necessità di visto per 90 giorni, salvo richiedere successivamente un permesso di soggiorno per motivi di protezione internazionale nel Paese di approdo.
Dalle indiscrezioni fornite negli ambienti della Commissione europea, i criteri condivisi di distribuzione dei profughi dovrebbero rispettare le percentuali di contribuzione al bilancio rapportate al Pil di ogni Paese (il 13% per l’Italia), calcolando negli importi la quota dei trasferimenti già avvenuta per le scelte spontanee delle persone interessate. Allo stato attuale è del tutto ragionevole ritenere che la gran parte della prima ondata di profughi sia caratterizzata da persone intenzionate a raggiungere parenti già integrati o concittadini già residenti in grado di assicurare un’accoglienza, rappresentati in prima istanza dai circa 800 mila migranti ucraini distribuiti nel territorio dell’Ue, tra i quali circa 240 mila (il 30%del totale) regolarmente residenti in Italia.
Ne consegue che in prima battuta l’Italia, insieme ai Paesi confinanti, è destinata ad avere un ruolo primario nella gestione di questo esodo, e una leva importante per impostare un piano di accoglienza e di integrazione per questa finalità.
Come noto, la popolazione ucraina residente nel nostro territorio è caratterizzata da un’elevata componente femminile (78%), occupata in modo prevalente nei servizi alle persone (66%), distribuita in grande prevalenza nelle regioni del nord Italia (50%), con punte significative nella Campania (17%), nel Lazio (10%) e una particolare concentrazione, 61 mila persone, nelle aree metropolitane di Milano, Roma e Napoli.
La presenza nelle reti familiari delle donne ucraine rappresenta di fatto il punto di forza per accogliere e integrare i profughi nelle comunità locali.
L’intensità dell’accoglienza dei profughi ucraini è destinata a condizionare la gestione dei flussi di immigrazione dei prossimi anni sotto diversi aspetti. Anzitutto quello quantitativo, se il volume di questi profughi e la durata dei tempi di accoglienza si avvicineranno alle previsioni più pessimistiche per il proseguo del conflitto bellico, rendendo necessari maggiori investimenti sulla gestione dei flussi e per l’integrazione delle persone sfollate. Nel contempo non vanno sottovalutate le implicazioni geopolitiche di queste vicende, destinate a rendere selettive le politiche di cooperazione internazionale, ivi comprese quelle relative alla gestione dei nuovi flussi di ingresso.
Alla luce di quanto sta avvenendo è del tutto evidente che l’Unione europea dovrà fronteggiare le forme di utilizzo strumentale delle tratte degli immigrati da parte delle organizzazioni criminali e degli Stati autoritari, non di rado tra loro connesse.
Questa è l’occasione per ripensare le nostre politiche per l’immigrazione che continuano a essere orientate da letture fuori dal tempo dei fenomeni migratori, trascurano l’esigenza di selezionare in modo rigoroso i flussi di ingresso di nuovi migranti e sottovalutano i fabbisogni di qualificazione e di integrazione delle comunità di origine straniera regolarmente residenti in Italia.
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