A tanti le sortite di Briatore fanno venire l’orticaria, e ovviamente si tratta sempre di esternazioni partigiane, molto, ma mooolto soggettive, fatte da chi intende il turismo come una questione d’alta gamma: meglio pochi che spendono tanto, che tanti che spendono poco. Tralasciando questa sbandierata non-etica elitaria, va detto che a tratti il Briator-pensiero qualche obiettivo lo centra, ad esempio quando critica certa ospitalità italiana, certi nostri servizi obsoleti, la mancanza di taxi, certe strutture spesso troppo datate, la generale mancanza di organizzazione.
Critiche fondate, stando al nuovo Top 100 City Destination Index di Euromonitor International, la società londinese di ricerche di mercato. È un ranking che confronta le più grandi città del mondo pesandone l’appeal turistico sulla base di 55 parametri, che vanno dalla performance economica a quella turistica, dalle infrastrutture alla sostenibilità. In questa classifica l’Italia piazza solo due città tra le prime venti: Roma al settimo posto e Milano al tredicesimo.
Se si giustifica il primo posto a Parigi con l’immarcescibile fascino romantico evocato dalla ville lumiérè, per di più alla vigilia delle sue Olimpiadi, un filino meno condivisibile il secondo posto di Dubai, bellissima skyline, bel deserto, ottimo shopping, e… Mah. Sul podio, comunque, ecco poi Madrid, seguita a ruota da Tokyo (quarto posto) e Amsterdam (quinto). Questa la top 20: Parigi, Dubai, Madrid, Tokyo, Amsterdam, Berlino, Roma, New York, Barcellona, Londra, Singapore, Monaco di Baviera, Milano, Seul, Dublino, Osaka, Hong Kong, Vienna, Los Angeles, Lisbona.
L’Europa, dunque, rimane la destinazione dei sogni: sono sette le città del Vecchio continente nella top 10, con la sola presenza di New York in top10, ottava, oltre alle citate Dubai e Tokyo. L’Italia però va così così, con due città nella top 20, come Spagna e Germania. Il tutto mentre l’Asia accelera, con Tokyo (4), Singapore (11), Seul (14), Osaka (16) e Hong Kong (17). Merito dei viaggi internazionali, in forte ripresa nel 2023 (+38%), trainati dalla Cina, dopo la rimozione della quarantena governativa. La spesa turistica globale è prevista sui 1.700 miliardi di dollari nel 2023. Istanbul è in cima alla lista per numero di arrivi internazionali nel 2023 con una crescita del 26% su base annua, seguita da Londra e (+17%) e Dubai (+18%).
Dunque l’Italia è il sogno di tanti, e si piazza sempre in testa alla lista dei desideri. Allora perché non si riesce a stabilizzare il primato con l’evidenza dei numeri di arrivi e presenze? Probabilmente perché nel mercato del turismo oggi a incidere è la customer satisfaction, diffusa via social: una recensione negativa di un turista moltiplica il suo effetto in buona parte dei contatti di quel mittente. Il turista insoddisfatto, o peggio ancora gabbato o spremuto, non resta un caso isolato, ma il suo feedback riverbera a lungo, tanto da far restare l’Italia un sogno, ma da convincere tanti ad altre mète, più accoglienti, organizzate, rispettose dei diritti e dei desiderata di chi viaggia.
Il nuovo turismo italiano, se la sua salute fosse un obiettivo veramente condiviso, dovrebbe iniziare da altri comparti, a iniziare dai trasporti, dall’intermobilità, e poi da scuola e formazione, dall’innovazione tecnologica. Inutile sperare in un’inversione di tendenze e rotte in tempi brevi: si tratta di un upgrading che richiede sforzi di anni e investimenti materiali e culturali. L’hospitality 4.0, dove la ricettività e il travel possono plasmare esperienze di viaggio uniche e personalizzate, è ancora un obiettivo d’orizzonte, quasi un miraggio nell’Italia dai 33 mila hotel, con solo il 5% per cento di catena, e gli altri a conduzione familiare, una polverizzazione che lascia spazio alle improvvisazioni e alle ricerche esasperate di marginalità. Nonché alla corsa sfrenata degli affitti brevi turistici, che spesso riempiono spazi colpevolmente lasciati vuoti.
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