Molte indagini sociali stanno scandagliando come cambia il sentimento delle persone davanti al prolungarsi della crisi pandemica. Emerge un quadro molto spesso spaccato in due dove a elementi fortemente negativi si contrappongono stati d’animo più aperti e disponibili ad affrontare nuove sfide. Nei giorni scorsi Censis ed Eudaimon hanno pubblicato il quarto rapporto sul welfare aziendale che, quest’anno, parte da una valutazione di come imprenditori e lavoratori stanno affrontando i problemi del periodo e come si immaginano di affrontare il futuro.
Nel caso dei lavoratori, dal primo livello fino ai dirigenti di azienda, prevale un sentimento di timore verso il futuro. I temi che generano questo sentimento sono legati alla paura di avere un calo del reddito, alla perdita del posto di lavoro e alla pressione per un aumento di tempi e ritmi del lavoro.
La situazione della pandemia conferma le proiezioni di sentimenti, paura e rabbia sono i prevalenti, che già la prolungata crisi economica aveva determinato e che stanno alla base delle spinte populistiche e sovranistiche emerse nei mesi passati.
Se la crisi economica aveva già minato la fiducia negli strumenti di welfare destinati a tutelare le difficoltà lavorative e fatto emergere che tali strumenti erano scarsi e non arrivavano a coprire tutte le esigenze, la pandemia ha ulteriormente accentuato tali evidenze. L’intervento di cassa integrazione e blocco dei licenziamenti si è rivelato una coperta troppo corta. Lavoratori con contratti a tempo determinato e autonomi (in particolare giovani e donne) hanno pagato più del dovuto l’essere fuori dai confini del lavoro tutelato. Oggi si calcolano oltre 600 mila posti di lavoro persi nel periodo e ciò non può non influire sul sentiment con cui ci si misura sul futuro.
Anche l’esperienza dello smart working ha determinato valutazioni contrastanti. Oltre un terzo dei lavoratori ha sperimentato il lavoro da remoto. Ovviamente pochi sono i livelli operai coinvolti (12%), mentre è stata una esperienza per più del 60% dei livelli impiegatizi. Ma sorprende come sia vissuto come una minaccia alla stabilità del posto di lavoro per molti (più del 60%) di quanti non sono stati coinvolti e per quasi il 40% di quanti l’hanno praticato ha significato un peggioramento delle condizioni lavorative.
Un risultato più ottimistico si coglie invece fra i responsabili aziendali. Voglia di impegnarsi (62,2%), speranza (33,7%) e coesione interna (30,1%) sono i tratti comuni di chi si prepara ad affrontare le sfide del post pandemia. Di fronte a un 68,7 % di imprese che denuncia un calo del fatturato, è una percentuale di poco inferiore che ritiene che comunque si siano salvaguardate le forze per affrontare la ripresa.
Un ruolo positivo per poter affrontare le difficoltà che si presenteranno è visto nella crescita del welfare aziendale. Questa realtà di accordi aziendali capaci di realizzare con convenienza, sia per l’impresa che per i lavoratori, servizi utili ai singoli, alle famiglie e alla conciliazione famiglia- lavoro, è considerata una tappa importante per creare una maggiore coesione e partecipazione collettiva per affrontare le vicissitudini delle imprese.
I dati del rapporto sembrano indicare una realtà contrapposta fra lavoratori e responsabili di impresa. Tale divaricazione credo sia solo apparente. Anche altre indagini sul sentiment prevalente nella popolazione dopo questi lunghi mesi di pandemia e lockdown hanno messo in luce due polarità fra valutazione di quanto avviene e valutazione sul futuro.
Quando si valuta la prevalenza di sentiment negativi sulla situazione che stiamo vivendo dobbiamo ricordare che arriviamo alla pandemia dopo un periodo di difficoltà economica. Difficile pensare che ci possano essere reazioni diverse. Il blocco della libera circolazione delle persone e la sospensione dei momenti di socialità non possono che portare a enfatizzare umori negativi che già la congiuntura economica aveva generato.
Tutto ciò non ha però annichilito le capacità delle persone di rimettersi in gioco. Per questo quando invece di chiedere “come stai?” si passa al “cosa sei disposto a fare per la ripresa?” ecco che tornano i sentiment positivi. Le domande diventano quelle della solidarietà, della disponibilità, avanzano domande di cultura e di socialità. Si chiede di tornare ad avere le libertà di poter fare, incontrarsi e fare assieme. La disponibilità ad assumersi tutti maggiori responsabilità verso gli altri apre alla ricerca di nuove sostenibilità sociali, ambientali ed economiche.
La sfida è allora quella di avere testimoni autorevoli capaci di essere in grado di trasmettere certezze nelle indicazioni collettive.
In questo si presenta una sfida importante anche per le forme organizzate della società. Tutti i corpi intermedi sono chiamati a misurarsi con la domanda di trasparenza e concretezza che viene dalla società. C’è una nuova domanda di socialità per affrontare il futuro rompendo la solitudine in cui crisi e pandemia ci hanno rinchiuso per troppo tempo. Senza una capacità di fare fraternità come nuova tappa di crescita civile, ripetere che nessuno si salva da solo resta un semplice slogan che ci lascerà insoddisfatti.
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