Se c’è una cosa che questi mesi hanno confermato, è la totale assenza di un dibattito equilibrato sul tema della vaccinazione che, pur nella passione delle diverse posizioni, aiuti a guardare la realtà con ragionevolezza e serietà.

In questo contesto, stupisce l’atteggiamento di alcuni mezzi di informazione, spesso arroccati su una posizione neutrale che eleva – in nome dell’imparzialità e dell’offerta di un presunto pluralismo – posizioni antiscientifiche e complottistiche a interlocutori di pari livello rispetto a chi si occupa per professione dei temi trattati, dopo anni di studio ed esperienza sul campo.



Non fa eccezione a questo l’articolo di Giovanni Passali, pubblicato su queste pagine pochi giorni fa, che vorrebbe smascherare una presunta ideologia vaccinale, con numeri e argomenti che non lascerebbero spazio a dubbi e che, invece, è scarso nei contenuti, fallace nelle argomentazioni, errato negli aspetti numerici e arrogante nel tono.



Bisogna essere chiari nel dire che quell’articolo è privo di un qualsivoglia valore scientifico e, in aggiunta, non fornisce alcuna reale argomentazione alle proprie tesi. Il primo e micidiale problema di impostazione è che Passali basa la valutazione dell’efficacia e dell’utilità del vaccino su un confronto tra i numeri dei decessi odierni e i numeri dei decessi nel medesimo periodo un anno addietro. Ma logica vorrebbe che il confronto fosse fatto tra ciò che accade oggi, con il vaccino, e ciò che sarebbe accaduto oggi, senza il vaccino. Si chiama analisi controfattuale ed è la chiave di tutti i processi di valutazione dell’impatto di scelte e politiche pubbliche. Bisogna studiare (molto) per conoscere il modo di svolgere seriamente e in modo scientificamente inoppugnabile questo tipo di valutazioni.



Nel caso specifico, certamente, costruire il cosiddetto “controfattuale” non è per nulla banale ed è ciò che rende l’esercizio complesso e non sempre possibile. Ma è questa la domanda che conta: la differenza tra ciò che è stato e ciò che sarebbe stato. Passali si limita a confrontare il presente e il passato, ma purtroppo non sono confrontabili, per almeno due motivi. L’anno scorso, l’epidemia è stata contrastata da un lockdown serratissimo, che l’ha confinata principalmente in alcune aree del Paese, permettendo un’estate relativamente priva di virus circolante, mentre oggi arriviamo da un’estate a media circolazione virale, derivata da un inverno e da una primavera che ha visto l’epidemia diffondersi su tutto il territorio nazionale, con azioni di contrasto molto più morbide. Secondariamente, l’epidemia scoppiata questa estate non è la stessa di quella che ci ha colpito in precedenza. La variante Delta ha un tasso di contagiosità molto maggiore e le dinamiche epidemiche sono differenti. Si tratta, da un punto di vista della diffusione, di due virus diversi.

Ma veniamo ai singoli punti sollevati da Passali su questo giornale. I dubbi sull’efficacia del vaccino partono dai conti sui decessi nel periodo invernale: Istat comunica un aumento di 6mila unità, rispetto ai decessi attesi dagli anni precedenti, la Protezione civile attribuisce al Covid 23mila morti. E tenendo conto dei mancati decessi da influenza stagionale, la conclusione è che in fondo il Covid non ha poi fatto crescere i decessi più di tanto e, comunque, che molti dei morti per Covid sarebbero morti comunque. Almeno questo sembra dire, data la scrittura più polemica che argomentativa. E qui francamente ci siamo persi. Innanzitutto, l’osservazione (qualunque senso abbia) non ha nulla a che vedere con il vaccino, dato che in quel periodo la campagna di somministrazione era ancora agli inizi (e comunque, i decessi sono dovuti a contagi passati, anche di mesi). Ma poi la domanda che viene è: già che 10mila persone non sono decedute per influenza, dovevano proprio morire di Covid? Se 23mila decessi sono dovuti al Covid, il tema è se il vaccino li avrebbe salvati, non se comunque sarebbero morti di un’influenza che non c’è stata.

Passali poi se la prende con Mattarella e scrive: “Se il vaccino non impedisce la trasmissione, vaccinarsi non ha alcun effetto sociale o civile” e quindi, secondo lui, verrebbe meno la ragione del richiamo del Presidente della Repubblica alla responsabilità della vaccinazione. Peccato che, al contrario, sia scientificamente avvalorato che il vaccino riduce l’intensità della carica virale e della trasmissione e quindi sia della diffusione sia della replicazione. E, soprattutto, rendendo più difficile ammalarsi, spedisce molti meno soggetti negli ospedali, permettendo alle terapie intensive (e non) di accogliere anche tutti coloro che ne hanno bisogno per altre patologie. È sufficiente come impatto sociale o abbiamo ancora qualche dubbio?

E poi Passali arriva a contestare l’efficacia dei vaccini, attraverso i numeri, ma ancora una volta in modo elementare e quantomeno discutibile. Si ripresenta, infatti, l’errore di impostazione iniziale: si confrontano sui due anni i morti giorno per giorno d’estate, per concludere che siccome oggi sono di più, è lecito dubitare del vaccino. Ma non basta; confrontando la curva delle differenze dei decessi con quella del numero di vaccinati, Passali osserva che l’impennata della prima avviene quando si raggiunge circa il 50% di copertura vaccinale. Ecco la prova: il vaccino è poco efficace, sulla variante Delta. Ora, che il vaccino sia efficace o meno su una variante è un problema scientifico, continuamente sottoposto a verifica, mediante metodi e strumenti codificati e approvati dalla comunità dei ricercatori: gli studi sperimentali e, quando affidabili, anche quelli osservazionali. Passali pensa di poter fare a meno della scienza e limitarsi a confrontare due curve, senza neanche rendersi conto che i decessi sono in ritardo sui contagi, senza considerare la distribuzione territoriale dei decessi, i comportamenti sociali, senza correggere per la maggiore contagiosità del virus… senza citare i dati di Ema ed Fda e così via. E infine si si cita la critica del direttore del British Medical Journal, il quale (oltre un anno fa e prima delle approvazioni dei vaccini da parte di Fda ed Ema) in realtà non fa altro che richiamare alla necessità di disegnare gli studi in modo preciso, non all’inutilità del metodo scientifico. Provi Passali a inviare le sue considerazioni a quella rivista scientifica e poi pubblichi su questo giornale i giudizi che riceverà nel processo di peer-review a cui verrebbe sottoposto, come tutti coloro che cercano di fare scienza (e nel senso più ampio).

I vaccini sono utili o meno? Non si pretende che chiunque debba andare a leggere i numerosi contributi apparsi su Jama, New England Journal of Medicine, British Medical Journal e quant’altro, ma perlomeno si guardino i dati che rilascia settimanalmente l’Iss. Nella figura seguente, un’elaborazione di Lorenzo Ruffino proprio sui dati Iss. Guardate quegli istogrammi e poi decidete se i vaccini hanno un qualche senso o meno.

Questo, per quanto riguarda i termini scientifici del problema. Ci permettiamo però un’osservazione generale. Per mestiere facciamo e comunichiamo scienza tutti i giorni e della scienza ci fidiamo nei limiti entro i quali ci si fida di un fenomeno umano. L’unica cosa incontrovertibile è che il Paese, e non da solo, sta attraversando un periodo durissimo e che c’è bisogno di tutta la ragionevolezza e la solidarietà di cui siamo capaci, per venirne fuori al meglio. I prossimi mesi saranno ancora un terno al lotto: arriverà il freddo, ma siamo in gran parte vaccinati; tuttavia, i vaccini potrebbero cominciare a perdere efficacia e i comportamenti sociali potrebbero ancora fare la differenza. Quale sarà la risultante di queste dinamiche contrapposte non si può prevedere, ma solo cercare di osservare con tempestività, reagendo e adattandosi nel modo più rapido ed efficace possibile.

In tutto questo, un ruolo fondamentale l’avranno i mezzi di comunicazione e, a nostro avviso, non c’è alcun bisogno di fomentare la confusione proponendo argomenti scientificamente sbagliati.

“When times are mysterious, serious numbers will speak to us always”, scrive Paul Simon in un pezzo dell’album Hearts and Bones (1983). Vediamo di imparare ad ascoltarli, questi numeri.

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