La professoressa ha quindi fatto luce sul processo Inscribe, che si basa appunto sull’applicazione dell’AI per interpretare le lingue più antiche ancora sconosciute: “Uno studio pioneristico – spiega – che mette insieme le analisi parallele dei testi sul materiale usato e delle forme dei segni grafici”. Silvia Ferrara ammette di averci pensato per la prima volta nel 2018: “Ho pensato di usare il computer nel nostro approccio di studio, pur avendo un dataset, cioè un numero di reperti, molto piccolo”. Quindi ha proseguito, riferendosi al nuovo approccio: “Quale soluzione abbiamo trovato? Applicando una tecnica di deep learning non supervisionato, a cui non abbiamo dato nessun input iniziale. E’ nato un vero e proprio modello, Sign2Vecd, addestrato ad analizzare e catalogare non solo i diversi segni del cipro-minoico, ma anche intere sequenze di segni”.
L’IA PER DECIFRARE LINGUE ANTICHE, SILVIA FERRARA: “E IN FUTURO…”
“I risultati – ha proseguito Silvia Ferrara sulle colonne de Il Messaggero – hanno permesso di delineare per ogni rappresentazione che può essere visualizzata in tre dimensioni, offrendo agli esperti la possibilità di individuare eventuali errori nella trascrizione dei segni e relazioni fra essi. Il sistema è riuscito a raggruppare il 70 per cento segni”.
La scrittura non è ancora stata decifrata “Ma siamo arrivati ad avere un sistema molto meglio definito nella sua composizione di segni, cioè delle lettere”. Quindi la docente, volgendo lo sguardo al futuro, spiega: “Nei prossimi decenni la scuola dovrà diventare sempre più tecnologica e digitalizzata e poi ci sarà una realtà distopica in cui ci sarà un tipo di comunicazione sempre più diretta attraverso chip sotto pelle; affideremo molte cose della nostra memoria a device esterni, una sorta di mente estesa”.