Un’operazione della Dda ha stravolto la vita di Vincenzo Iaquinta, che si sente vittima di una ingiustizia. All’apice nel 2006 per la vittoria dei Mondiali in Germania, poi l’incubo del processo “Aemilia”. L’ex attaccante è stato condannato ad un anno, pena sospesa, per la mancata custodia di due pistole e 126 proiettili, che secondo il pm ha ceduto al padre a cui fin dal 2012 ne era stata proibita la detenzione. Il padre tra l’altro è in carcere con l’accusa di essere una figura strategica delle cosche emiliane legate al clan di Cutro. «Perché me lo tengono in carcere? Così me lo ammazzano. È un accanimento», dichiara Iaquinta nell’intervista rilasciata oggi al Dubbio. Se per i giudici di primo grado il padre ha sfruttato anche l’immagine positiva del figlio all’interno del sodalizio criminoso, per il figlio invece ribatte: «Il mio nome serviva per dare lustro a questo processo. Ma noi con la ‘ndrangheta non c’entriamo nulla. A noi la ‘ndrangheta fa schifo».
Vincenzo Iaquinta difende suo padre e racconta che per dimostrare la sua innocenza si è pure autodenunciato alla Dda di Bologna. «Ha chiesto una verifica sulla sua attività, affinché accertassero che era tutto apposto. (..) Ma ha mai visto un mafioso autodenunciarsi?». Per l’ex Juventus si parla del nulla: «A mio padre non hanno beccato né un giro strano di soldi né un appalto strano né una chiamata strana. Si basa tutto su supposizioni. Non c’è alcuna prova di un qualsiasi reato».
VINCENZO IAQUINTA “MIO PADRE INNOCENTE”
Il 28 gennaio 2015 il padre di Vincenzo Iaquinta fu arrestato con l’accusa di 416 bis. «Un fulmine a ciel sereno sulla mia famiglia», dice al Dubbio. Quella del padre, spiega l’ex attaccante, è la storia di un uomo calabrese che come tanti ha lasciato la sua terra per cercare lavoro. Una storia di sacrifici dunque, fino a quando lui non ha avuto successo col calcio. «Ma secondo lei avevamo bisogno dei soldi della ‘ndrangheta, con quello che ho guadagnato nel calcio? Avevo bisogno di mescolarmi con gente così? Nessuno mai nella mia famiglia ha avuto problemi con la giustizia». Riguardo alle conoscenze “pericolose”, l’ex calciatore di diverse squadre, come la Juventus, e della Nazionale, ha spiegato: «Perché devo dire di no a chi mi chiede una maglietta o una foto? Mio padre, anche durante il processo, ha sempre detto queste testuali parole: se conoscere qualcuno è reato, io sono colpevole». Al padre di Vincenzo Iaquinta si contesta di partecipare all’associazione di ‘ndrangheta dei Grandi Aracri. «Io posso dire che mio padre è innocente. Non avrei fatto nemmeno questa intervista se avessi sospettato che anche una minima cosa potesse essere vera».
L’INCUBO GIUDIZIARIO DELLA FAMIGLIA IAQUINTA
Vincenzo Iaquinta al Dubbio racconta di essere stanco, ma di nutrire fiducia nella giustizia, anche se ha visto cose che considera allucinanti tra primo e secondo grado. Ma anche personalmente non è stata facile. «Il mio coinvolgimento ha una motivazione vergognosa: io devo pagare per quello che ho fatto, non per altre cose. Se devo pagare perché mio padre ha spostato le armi ok, lo faccio, ma non mi si può accusare di avere agevolato la ‘ndrangheta». Da questa accusa l’ex attaccante è stato accolto, ma gli era stato contestato precedentemente l’articolo 7, cioè di aver agevolato i clan con armi legalmente detenute. Riguardo, invece, le sue frequentazioni, l’avvocato Pasquale Muto al Dubbio ha spiegato che a quella cena del 2012 con Giuseppe Pagliani, consigliere forzista accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, c’erano anche giornalisti, poliziotti e avvocati, perché era una cena pubblica. Inoltre, ha avuto pochi contatti con Gianluigi Sarcone, che si è dichiarato colpevole dell’accusa di aver fatto parte dell’associazione mafiosa, mentre Alfonso Pasolini, il suo contatto più frequente, è un’amico di infanzia con cui ha anche giocato per diversi anni. «E fino al 2015, per quanto ne sapesse Iaquinta, era una persona normale. (..) Frequentava queste persone perché venivano dal suo stesso paese».
Questo incubo giudiziario secondo Vincenzo Iaquinta ha avuto un impatto devastante sulla madre, morta nel 2019 dopo aver combattuto per cinque anni la malattia. «Forse sarebbe morta lo stesso, perché aveva un male incurabile. Ma si è lasciata andare», spiega al Dubbio. Il padre lo ha visto invece a febbraio dell’anno scorso, ora solo in videochiamata. «Mi ha detto che dopo il carcere c’è la morte. E per un innocente è ancora peggio, perché se uno ha fatto qualcosa è giusto pagare, ma da innocenti è terribile stare tra quelle quattro mura».