Lo sciopero aveva lo scopo di fermare i trasporti per paralizzare il Paese: parola del giuslavorista Ichino a La Verità. “In qualsiasi sciopero generale il blocco dei trasporti svolge una funzione – per così dire – di sostegno alla riuscita dell’agitazione, costringendo a casa anche chi non intenderebbe astenersi dal lavoro. Nel caso dello sciopero generale proclamato per la giornata di ieri da Cgil e Uil, poi, la questione era resa particolarmente delicata dalla non partecipazione della Cisl: un blocco dei trasporti per l’intera giornata avrebbe rischiato di comprimere indebitamente il diritto al lavoro di una parte molto consistente dei lavoratori”.



L’esperto crede che “sul piano strettamente formale (…) potesse essere qualificato come «sciopero generale» quello che ha interessato il Centro Italia, non quello che ha interessato il Nord e il Sud, dove l’agitazione riguardava soltanto amministrazioni pubbliche e trasporti. È probabile, però, che nella decisione dell’Autorità Garante abbia giocato proprio la preoccupazione di assicurare il diritto di autodeterminazione di tutte le persone che non aderiscono all’agitazione proclamata da Cgil e Uil”. Il carattere “di questo sciopero non è certo una novità nella storia della Cgil, antica e recente. La novità, semmai, è la curiosa sovrapponibilità dei motivi di opposizione alla legge finanziaria, che questo sciopero intende far valere, con gli obiettivi di modifica della stessa legge che si era proposto il ministro delle Infrastrutture Salvini, in contrasto col ministro dell’Economia e con Palazzo Chigi” ha aggiunto Ichino.



Ichino: “Lavoro? Serve uno standard minimo”

A La Verità, parlando della volontà della Cisl di non partecipare allo sciopero, Ichino ha spiegato che “non ha alcun motivo per dare il proprio avallo a una così netta politicizzazione dell’azione sindacale, tanto meno quando il segno politico è questo, fortemente connotato nel senso del non rispetto degli impegni assunti con l’Ue. La Cisl intende invece sottolineare il proprio radicamento dentro le aziende e la propria attenzione agli interessi concreti delle persone che vivono del proprio lavoro, la rivendicazione di una maggiore loro partecipazione in seno all’impresa e una rinnovata attenzione alle loro necessità di assistenza nel mercato del lavoro, e in particolare nelle transizioni professionali”.



Per il giuslavorista, “rafforzare il sistema della contrattazione collettiva è importante; ma per questo è indispensabile porre mano all’articolo 39 della Costituzione. Il problema, comunque, è che il lavoro povero, e ancor più quello poverissimo, si annida soprattutto in pieghe del tessuto produttivo nelle quali la contrattazione collettiva non arriva proprio. Per questo è necessario uno standard minimo che abbia il carattere dell’universalità. Ma, come accade in Gran Bretagna, deve essere in qualche misura modulato”.