Un’intervista di “fuoco” quella rilasciata oggi da Pietro Ichino (giuslavorista ed esponente del Partito Democratico) a “La Verità” sul tema molto delicato del lavoro nella Pubblica Amministrazione: l’estate scorsa era stato lo stesso Ichino a mettere in guardia la politica e il Governo sulla pericolosità di uno smart working continuato della PA, ma oggi – in attesa del nuovo decreto della Ministra Dadone che aumenterà ulteriormente il grado di “lavoro agile” negli statali – quell’allarme si fa ancora più insistente. «Smart working fallimento? La stessa ministra, a giugno, ha ammesso che metà delle posizioni non è “smartabile”, (copyright della stessa). Ma ho sempre detto che ci sono anche tanti dipendenti pubblici, e non soltanto medici e infermieri, che in questo periodo lavorano il doppio di prima». Insomma, il problema non è la “categoria” in quanto tale ma un corretto controllo che lo Stato deve fare sui propri diretti dipendenti, specie in condizione straordinaria di lavoro agile ben più del 50% dei settori: il Ministero della Funzione Pubblica ha più volte replicato alle invettive di Ichino, criticandone l’assunto iniziale. Eppure per il giuslavorista il senso non è “smontare” la PA ma farla rendere al meglio, oltre che disgiungere tra chi lavora bene e chi no: «Hanno chiuso gli occhi sul letargo delle amministrazioni, molte delle quali non rispondono neanche al telefono, sono inaccessibili da remoto, mentre triplicano i ritardi nell’evasione delle pratiche».
“SEPARARE GIOVANI E ANZIANI NELLA PA”
La cosa inaccettabile, spiega ancora Ichino al collega Novella de “La Verità” è la mancanza di trasparenza sui dati: «ancora oggi il ministero non sia in grado di dire con precisione quali amministrazioni sono attrezzate per l’accessibilità dei propri data-base, quali e quante sono le funzioni che effettivamente già oggi possono essere svolte da remoto, quanti dipendenti pubblici possiedono l’attrezzatura e la connessione necessarie». Per l’ex senatore Pd il privilegio da abbattere nella PA è l’invariabilità dello stipendio: «Che cosa sappiamo di quanto e come hanno lavorato negli ultimi otto mesi l’Agenzia delle entrate, gli Ispettorati, le Sovrintendenze, o la Motorizzazione civile? Ci hanno detto che i dipendenti “esonerati” dal lavoro sono pochissimi; ma chi si è curato di verificare quanti dei non esonerati stanno effettivamente lavorando da casa e quanti invece sono “esonerati di fatto”?». La legge sul pubblico impiego prevede comunque di ridurre lo stipendio quando la prestazione è sospesa, dunque – pone l’attenzione Ichino – non servirebbero “rivoluzioni” legislative ma semplicemente applicare quanto già è previsto per una miglior scelta di equità: certo, «serve la volontà politica», quella stessa volontà che per Ichino occorre per cambiare qui sì radicalmente il piano-lavoro in vista della ripresa post-Covid. La lotta alla pandemia deve impostarsi sulla sopravvivenza economica, per esempio partendo dal ritorno a scuola dei ragazzi e al lavoro degli under 50 della PA: «potremmo decidere che fino ai 50 anni tutti tornano al lavoro, mentre agli over 50 si riserva la cassa integrazione. Questa separazione aiuterebbe la ripresa, proteggendo chi rischia di più. Si potrebbe inoltre mettere a disposizione gli hotel, che oggi sono vuoti, per gli anziani o i giovani le cui abitazioni non consentono il distanziamento». Una separazione tra giovani e anziani che rischia da più parti di venire attaccata come una enorme discriminazione ma che per Ichino potrebbe non essere un’idea “terribile” se adottata per poco tempo: «il virus distingue per fasce d’età: diverse, dunque, devono essere le misure di protezione. D’altra parte, la separazione è un sacrificio che grava nella stessa misura sugli uni e sugli altri». Per Ichino, i nonni devono mettersi una mano sulla coscienza e pensare che in fondo l’enorme debito pubblico che stiamo accumulando in questa lunga fase di emergenza Covid-19 non saranno loro a pagarlo, bensì proprio nipoti e figli.