Susanna Tamaro torna a parlare della disforia di genere dopo aver raccontato la sua esperienza personale che l’ha «devastata». Lo fa al Giornale, spiegando che è stata «montata ideologicamente a tal punto che si è arrivati a medicalizzare ciò che è assolutamente normale nell’essere umano». Il dibattito sul tema s’è infiammato dopo che è scoppiato il caso dell’ospedale Careggi di Firenze, con l’ispezione ministeriale che ha ravvisato evidenti mancanze. «Non dovrebbero neppure esistere i centri per la disforia», che tra l’altro esiste da sempre. Il problema, per Tamaro, è che «se questa cosa viene cavalcata, gonfiata, insufflata da un sistema che spinge in una determinata direzione è chiaro che diventa una patologia». Di fatto, per la scrittrice fa parte dell’essere umano: «La maggior parte delle femmine desidera essere maschio a una certa età e viceversa. La vera identità arriva intorno ai trent’anni, specialmente ora che i tempi si sono allungati. C’è un tempo di prova dove si sperimentano continui cambiamenti. Medicalizzare questa situazione è criminale».
Non si può immaginare che i bambini siano onniscienti, siano a conoscenza del proprio destino e «che possa distruggere il suo corpo in un modo irreversibile». La scrittrice è categorica: «Considerare la volontà di un ragazzino come una cosa da eseguire è una follia». In tutto ciò, anche i social hanno un ruolo. Per Susanna Tamaro «fanno da gran cassa». Se la disforia di genere negli anni ’60 era per lei un «dolore segreto», di cui non parlava con nessuno e di cui nessuno parlava, ora la situazione è opposta. «Le assicuro che se avessi avuto intorno un coro di persone che mi dicevano che la mia felicità sarebbe dipesa da quello che loro potevano fare sul mio corpo, è chiaro che avrei fatto il passo».
“DISFORIA DI GENERE? DOLORE TERRIBILE”
A proposito della sua storia, Susanna Tamaro al Giornale racconta di essere nata affetta da una sindrome autistica, che spesso porta «come comorbilità la disforia di genere. Non è un errore della natura ma un disturbo psichiatrico. La mia disforia si è palesata da subito, dall’asilo». Ad esempio, era infelice con le bambine, arrivava a sentirsi a disagio, e voleva stare solo con i bambini. «Una persona con una sindrome autistica ha un cervello privo di emotività e quindi stare con le femmine mi faceva sentire totalmente estranea: loro vivono di emotività. Mi sentivo sola, sentivo di non appartenente a quel mondo. Era un fatto mentale, non genitale».
Invece, si sentiva a suo agio con i maschi per la loro semplicità e la mancanza di emotività. «Io avrei voluto intraprendere la carriera militare». Questo perché pensava che così sarebbe stata serena, visto che chi ha una sindrome autistica «non capisce a cosa obbedire, fa fatica a decifrare il mondo». Susanna Tamaro ricorda quel «dolore terribile» e «momenti di grandissima sofferenza».
“SE AVESSI CAMBIATO SESSO, AVREI ROVINATO LA MIA VITA”
Tutto è cambiato attorno agli 11 anni per Susanna Tamaro. «Verso i 14 anni avevo praticamente dimenticato questa cosa». Il problema è che se a 8 anni le fosse stata offerta la possibilità di cambiare sesso, lo avrebbe fatto: «Oggi la mia vita sarebbe una rovina totale. Oggi non sarei più niente». Quindi, la scrittrice ammette che l’idea che oggi sia realizzabile più facilmente le fa «tanta paura». Quindi, chiarisce ulteriormente la sua posizione: «Una persona nasce con un determinato sesso e non deve cambiarlo. Può essere eterosessuale o omosessuale, liberissimo di fare ciò che vuole, ma cambiare chirurgicamente un corpo è una violenza assoluta, un crimine. Perché non si torna indietro».
I genitori, inoltre, dovrebbero spiegare cosa comporta una trasformazione irreversibile al figlio, cioè «una vita di sofferenze fisiche, nessun piacere sessuale. Una vita completamente rovinata». Infine, riguardo il fatto che non si possa più fare una distinzione tra maschi e femmine «è una follia», «la totale negazione della realtà», perché «tutto il mondo si regge sull’equilibrio maschile-femminile. Dire che questo non esiste è l’anticamera dell’Apocalisse, perché si nega che ci sia un ordine nel mondo».