La vicenda di Ikram Nazih, la 23enne italo-marocchina finita in carcere in Marocco con l’accusa di blasfemia, aveva profondamente colpito l’opinione pubblica del nostro paese. La giovane, rientrata nel proprio paese in estate e inconsapevole del mandato di cattura che pendeva su di lei dopo un post sui social del 2019 considerato offensivo per la religione islamica, era stata arrestata all’aeroporto di Casablanca ed era stata condannata a tre anni e mezzo di carcere. Ad agosto il lieto fine, con la liberazione della giovane grazie all’aiuto dell’avvocato Abdessadeq A. Matallah.



Il legale, che ha seguito da vicino quanto successo, intervistato dal quotidiano “Il Dubbio”, ha spiegato come sia riuscito a far liberare la giovane Ikram Nazih: “Nel nostro ordinamento l’offesa all’Islam, che è la religione di Stato, è considerata un reato grave solo se proviene da gruppi organizzati oppure diventa oggetto di campagne pubbliche. Nel caso di Ikram le cose erano del tutto diverse. Si tratta di una ragazza molto giovane che ha scritto una frase irriverente su internet, non c’è alcuna volontà e nessun disegno dietro quel gesto. È logico che Ikram ora sia libera, sarebbe molto più strano il contrario”.



Ikram Nazih libera: “Una bravata immatura”

La 23enne Ikram Nazih era finita in manette a giugno. Ad accusarla di blasfemia a causa di un post pubblicato sul suo profilo Facebook nel 2019 con un gioco di parole sulla sura 108 del Corano era stato il Tribunale di Marrakesh. Dopo due mesi di carcere in Corte d’Appello la sentenza è stata ribaltata e dai tre anni e mezzo di galera si è passati alla libertà ottenuta grazie alla difesa di Abdessadeq A. Matallah. Il legale ha spiegato: “Il suo è stato un gesto immaturo, una bravata che non merita certo una pena così elevata che avrebbe potuto segnare a fondo la ragazza”:



“Il giudice è stato molto comprensivo e ha semplicemente seguito i criteri dello Stato di diritto. In Marocco ci sono pochi casi come quello di Ikram- ha aggiunto il legale-. Quel che è accaduto è una rarità, una circostanza sfortunata perché nel nostro Paese vige lo Stato di diritto e il principio di proporzionalità della pena per evitare qualsiasi arbitrio nei confronti degli imputati”.