“Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla”: come sempre le parole di papa Francesco sono semplici da comprendere e toccano nello stesso tempo il cuore del problema. C’è il rischio di attraversare la crisi solo con l’attesa di poter riprendere tutto com’era prima; a ben guardare, la “logica dei sussidi” si muove proprio in questa prospettiva: sostenere durante la chiusura nell’attesa di poter tornare a fare come prima. Invece, la crisi ci ha insegnato cose nuove che sarebbe male perdere: limitando l’osservazione al campo molto ristretto della mobilità e dei trasporti, e tralasciando quindi ben più importanti insegnamenti che il Covid ha offerto alla riflessione di tutti noi, alcune trasformazioni appaiono in grande evidenza e pongono pressanti domande per il futuro.



I settori dei trasporti e del turismo, inevitabilmente connessi, hanno subito più di ogni altro l’impatto delle misure di restrizione della mobilità delle persone, producendo devastanti impatti su tutte le imprese del settore. I dati ce lo dicono ormai in maniera certa: l’indice Google segna una riduzione di “presenza di persone nelle stazioni” ferroviarie e bus del 50% rispetto al 2019 con punte di oltre -80%; quello analogo che analizza le presenze sui luoghi di lavoro fa registrare un calo del 30,8% con punte del -70%. Ancora più drammatica la situazione negli aeroporti italiani, con il 71,6% di passeggeri in meno, con punte del -100% e cadute inimmaginabili nei grandi aeroporti: -73% a Malpensa, -76% a Fiumicino.  Le autostrade italiane (gruppo Aspi) hanno avuto un calo del 25,8% del traffico con punte del -84% nel mese di aprile.



Evidenti sono gli impatti disastrosi che queste riduzioni hanno sugli equilibri economici delle imprese di servizio, soprattutto tenendo conto del fatto che il settore dei trasporti richiede grandi investimenti e quindi è caratterizzato da costi fissi che non si riducono con il calare dell’attività: tener aperto un aeroporto per pochi voli costa non molto meno di quello che costa in situazioni di traffico normale.

Durante questa fase cos’è successo? Innanzitutto, un impulso enorme verso il lavoro a distanza: il Pil del terzo trimestre è stato “solo” del -4,6% rispetto alla media 2019, nonostante una presenza del -20% sui luoghi di lavoro. Moltissimi di noi hanno imparato a utilizzare le piattaforme digitali per le riunioni, per non parlare della didattica a distanza: accanto alla speranza che i ragazzi possano tornare a scuola, c’è la certezza che non si tornerà più a viaggiare per lavoro come prima, né sulle lunghe né sulle brevi distanze.



Le “teleconferenze”, prima riservate alle sale riunioni direzionali delle grandi società, sono diventate “call” tra le mura domestiche e nessuno pensa più di fare centinaia di chilometri per una riunione di due ore, com’era normale meno di un anno fa. Le ripercussioni sulla domanda di trasporto, aerea e ferroviaria, saranno importanti: nel 2019 a Fiumicino il 19% dei passeggeri era per motivi di lavoro e sull’alta velocità ferroviaria il 45% degli spostamenti era per motivi di lavoro, di cui il 15% di natura sistematica, cioè pendolari. Anche sui viaggi sistematici ci saranno profondi cambiamenti: non si sopporterà più di fare due o tre ore di viaggio, stipati in un vagone ferroviario, della metropolitana o in coda in tangenziale, per lavorarne otto davanti a un computer, quando lo si può fare da casa o, meglio, da una struttura di coworking collocata vicino a casa e, preferibilmente, dotata di servizi primari di cura dei figli minori.

Anche il turismo è stato profondamente segnato dalla pandemia: gli arrivi turistici negli esercizi alberghieri ed extralberghieri sono calati del 55,9% con punte del -99,3% ad aprile. La stagione estiva è stata salvata dalla domanda nazionale che ha quasi compensato la quasi totale scomparsa della clientela estera. Abbiamo riscoperto il nostro Paese: meno folla nelle mete del “turismo cartolina” di massa, meno souvenir per turisti low cost e più mete decentrate e, soprattutto, più qualità per soddisfare gli acquisti di una clientela evoluta come quella nazionale.

Ci sono le premesse per rivitalizzare la grande rete di città di medie dimensioni e di borghi che sono il tessuto del nostro Paese, per ribilanciare l’attrattività tra città e campagna, per contrastare le migrazioni interne… Obiezione: ma la ristorazione e il commercio nei centri delle grandi città? Cogliamo i lati positivi del cambiamento, senza volere che tutto torni come prima. Aiutiamo piuttosto a vivere le trasformazioni che si sono attivate, cambiando, se necessario, il proprio business per cogliere le interessanti prospettive che si aprono: è l’augurio che ci facciamo per il 2021, che segue questo memorabile (nel senso etimologico) anno 2020.