Viviamo veramente in un periodo di “tempesta perfetta”. Non solo si soffriva di una recessione di origine prettamente finanziaria dal 2008, da cui non siamo mai veramente usciti; non solo abbiamo avuto dei “vati” finanziari che predicavano la politica dell’austerità come soluzione ai nostri mali e venivano paragonati da Nobel dell’economia come Paul Krugman a protagonisti di film horror; non solo si blaterava su una crescita da prefissi telefonici e sul contenimento del deficit e dello stock del debito sempre secondo i suddetti prefissi.



Per una strana ironia della storia, proprio adesso come l’avvento del coronavirus, è arrivata al comando della Bce Christine Lagarde, un’avvocatessa d’affari che si è subito esibita in un insider trading volgare, rovesciando subito la politica di Mario Draghi, quello che con il “quantitative easing” ha salvato l’Europa dei tirchi e degli inetti.



Le correzioni successive della Lagarde  sono state imposte e in parte decisive per recuperare un briciolo di popolarità, ma mettersi poi in linea con gli olandesi che amano i paradisi fiscali, la parte retrograda dei tedeschi e soprattutto la linea del lettone Valdis Dombrovskis è un atto di pura demenza. Tra l’altro ci assilla un dubbio: ci sono più abitanti a Codogno o in Lettonia?

Per fortuna c’è sempre un ‘ancora di salvezza anche nelle “tempeste perfette”, come quando si attraversava Capo Horn con un veliero.

Mario Draghi ha scritto oggi un articolo sul Financial Times che lancia un nuovo Bazooka, un monito e una speranza. L’articolo di una persona che sa prevedere e sa scegliere, una persona rara in questi avventurati tempi di classe politica da quarta serie. Draghi nel suo articolo guarda alla crisi economica che seguirà alla grande tragedia del coronavirus e specifica la natura degli interventi necessari in questo frangente. Valgono per l’Italia, ma anche per quell’Europa che lo ha spesso mal sopportato per le sue scelte coraggiose.



Scrive Draghi: “La pandemia di coronavirus è una tragedia umana di proporzioni potenzialmente bibliche. Molti oggi vivono  nella paura della propria vita o in lutto per i propri cari. Le azioni intraprese dai governi per evitare che i nostri sistemi sanitari vengano travolti sono coraggiose e necessarie. Devono essere supportati. Ma queste azioni – continua Draghi – comportano anche un costo economico enorme e inevitabile. Mentre molti affrontano una perdita di vite umane, molti altri affrontano una perdita di sostentamento. Giorno dopo giorno, le notizie economiche stanno peggiorando. Le aziende affrontano una perdita di reddito nell’intera economia. Molti stanno già ridimensionando e licenziando i lavoratori. Una profonda recessione è inevitabile”.

A questo punto Mario Draghi sceglie: “La sfida che affrontiamo è come agire con sufficiente forza e velocità per evitare che la recessione si trasformi in una depressione prolungata, resa più profonda da una pletora di valori predefiniti che lasciano danni irreversibili”.

Nel finale di questo grande articolo, Draghi aggiunge: “I livelli del debito pubblico saranno aumentati. Ma l’alternativa – una distruzione permanente della capacità produttiva e quindi della base fiscale – sarebbe molto più dannosa per l’economia e infine per il credito pubblico. Dobbiamo anche ricordare che, visti i livelli attuali e probabili futuri dei tassi di interesse, un tale aumento del debito pubblico non aumenterà i suoi costi di servizio”.

Non possiamo pensare che olandesi e Dombrovskis possano capire tali ragionamenti, ma in questa nostra traballante classe politica, c’è qualcuno che ha il coraggio, subito, di chiamare Draghi al governo del Paese per salvarlo da una depressione catastrofica?

È vero che noi dobbiamo fare i conti con gente che ha scritto “Il liberalismo è di sinistra”, con altri che hanno firmato “L’austerità fa crescere. Quando il rigore è la soluzione”, con “ingegnosi economisti finanzieri” che hanno difeso stock option e non hanno mai citato l’oceano puzzolente dei derivati, per poi attuare tagli e austerità, mandando magari uomini e donne in pensione più tardi del dovuto.

Ma in fondo non scopriamo nulla di nuovo: la massa degli irresponsabili è sempre incalcolabile.

Noi non abbiamo amato Draghi nel 1992, ma la sua intelligenza e la sua capacità è una garanzia in questa folla di gente inadeguata.

Nel suo articolo Mario Draghi ci ricorda una lettera di John Maynard Keynes al presidente Franklin Delano Roosevelt (origine olandese intelligente) del 1937. Adesso che siamo tutti in quarantena, la lettera si può leggere nel libro dei “Meridiani”, pubblicato da qualche mese o persino su Google, nel suo punto essenziale.

Nel 1937, la politica del New Deal fu fermata da una scelta conservatrice contro le politiche di Roosevelt e di Harry Hopkins. Nacque quello che viene ricordato come “effetto ’37” che frenò la ripresa. Roosevelt si sbarazzò delle dottrine dei rigoristi–liberisti in tutta fretta. Keynes scriveva al presidente degli Stati Uniti: “Il momento giusto per l’austerità al Tesoro è l’espansione non la recessione”. Troppo semplice per quegli “apprendisti stregoni” dell’economia italiana ed europea.

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