Chiuso dentro quattro mura, con solo due (o tre) personaggi per volta a interagire e un meccanismo atroce da sfidare: Il buco sembra inconsapevolmente il film-metafora di questo isolamento pandemico. Il film d’esordio di Galder Gaztelu-Urrutia, su Netflix dopo un ottimo successo festivaliero, prosegue la scia di buoni prodotti di genere spagnoli su cui la piattaforma si sta buttando da qualche tempo a questa parte.



Il protagonista si sveglia in una stanza, assieme a un vecchio. Sono tutti e due dentro una sorta di futuribile prigione in cui vige un’unica regola: il cibo che mangiano sono i resti del piano di sopra, più sono in alto, più possono mangiare, più sono in basso più rischiano l’inedia. Ogni mese, il piano in cui si trovano cambia e tanto la sopravvivenza quanto la sanità mentale sono sempre più a rischio.



Sull’onda dei film “gioco” in cui gli esseri umani sono tanto vittime quanto carnefici, David Desola e Pedro Rivero scrivono un dramma vicino alla fantascienza in cui l’ingranaggio narrativo serve per farne un dramma metaforico ed esplicitamente politico sulla guerra tra poveri che è la faccia viscida della lotta di classe (“Quelli di sopra non ascoltano i comunisti”, dice il vecchio a inizio film).

Come “La casa di carta“, che è la vera chiave di volta di questa ondata che sta investendo (e su cui investe economicamente) Netflix, Il buco non va per il sottile, è esplicito nel suo sotto-testo politico, ma allo stesso tempo ha un certo equilibrio nell’alternarlo all’intrattenimento: pur grossolanamente, Gaztelu-Urrutia è efficace nel costruire la tensione attraverso la repulsione ben temperata, nel giostrare esposizione delle regole e reticenze, nel raccontare il passato e nel progettare il futuro per mettere alla berlina l’irrazionalità delle forme autoritarie, di cui il carcere è una delle più inumane, in quanto pienamente democratica.



Ma il regista amplia il discorso – con tutti i rischi e gli scivoloni che questo comporta – a una sorta di manifesto universale sulla solidarietà e la responsabilità verso chi “sta sotto di noi” ed è curioso lo faccia con i registri con cui invece il cinema ha affrontato il nichilismo e l’auto-distruzione del genere umano (vedasi il cinema di Ferreri o, più affine a Gaztelu-Urrutia, Gilliam), come il grottesco, il deforme, il repellente attraverso l’istinto più primario, la fame portata al suo assoluto degrado.

Il buco mostra in più di un’occasione la corda, sia dal punto di vista concettuale, sia in fase di realizzazione, ma è un film in cui la sua anima grezza, spiccia, anche greve come può (deve?) essere un B-Movie lo rende efficace, grazie anche alle facce di attori poco conosciuti (memorabile il vecchio di Zorion Eguileor ed è un piacere ritrovare Antonia San Juan, indimenticabile Agrado in Tutto su mia madre di Almodòvar) e a un modo di attaccare il genere e fare in modo che parli al pubblico anche dopo la sua chiusura.