Il caffè non fa male come si è abituati a pensare: a dirlo è la scienza. La caffeina contenuta nei chicchi sembra fatti avere effetti positivi su numerose patologie come il cancro, il diabete, le malattie epatiche e quelle del sistema nervoso. Mentre a livello cardiovascolare il caffè facilita l’insorgere di fibrillazione atriale. A dimostrarlo è una recente ricerca dell’università della California di S. Francisco, pubblicata sulla rivista New England Journal of Medicine da Gregory M. Marcus ed i suoi colleghi della divisione di Cardiologia.
Gli studiosi hanno analizzato gli effetti acuti del consumo di caffè su una serie di parametri cardiaci in un gruppo di 100 soggetti ambulatoriali. Questi sono stati monitorati per due settimane. Nella prima hanno bevuto caffè e nella seconda si sono astenuti, non consumando neppure una tazzina. Sono stati monitorati i vari eventi aritmici con un holter ECG, ma non solo. Presi in considerazione anche i livelli di attività fisica ma anche i periodi di sonno o di veglia. Infine, presi in esame anche i livelli glicemici attraverso un apparecchio usato dai diabetici.
Nessun aumento delle aritmie
Il monitoraggio condotto dagli studiosi del dipartimento di cardiologia dell’Università della California di S. Francisco ha mostrato che il consumo di caffè, in soggetti normali, non porta alcun aumento delle aritmie atriali e non provoca neppure un aumento di rischio di fibrillazione. Una tazzina di caffè non ha effetti negativi neppure sulle aritmie ventricolari. I soggetti presi in esame hanno avuto una maggiore attività fisica nei giorni in cui hanno assunto caffè, e hanno dormito in media 36 minuti in meno.
Dunque il caffè non ha avuto effetti negativi, anzi, sulla salute dei pazienti. Per quanto riguarda la glicemia, non è cambiata nei giorni in cui i monitorati hanno preso il caffè rispetto a quelli in cui non l’hanno preso. Come dimostrato dallo studio, nei pazienti sani, non c’è alcuna effetto negativo. I risultati confermano quelli di altre ricerche, come quella condotta da Neal D. Freedman ed il suo gruppo del National Institute of Health di Rock- ville (USA), che sul New England Journal of Medicine di qualche anno fa, parlava di una relazione inversa tra mortalità dovuta a malattie cardiovascolari, respiratorie, diabete o infezioni e consumo di caffè.