La riduzione dello “spread” tra Btp e Bund fino ai minimi degli ultimi due anni è stata notata due giorni fa anche dal Financial Times secondo cui gli investitori “stanno diventando sempre più ottimisti sulle prospettive dell’economia italiana” e sulle attese di tagli dei tassi. Secondo il ministro dell’Economia Giorgetti, “tre o quattro mesi fa, in pochi avrebbero immaginato che lo spread, a metà marzo, arrivasse a 123 punti base”. Solo a ottobre lo spread era superiore a 200 punti.
Nota il Financial Times che il crollo dello spread smentisce le paure di molti commentatori che temevano che la coalizione del Primo ministro Meloni “avrebbe scatenato un aumento della spesa populista”. Invece Giorgia Meloni e il suo Governo hanno seguito un sentiero di “rettitudine fiscale” e costruito una forte relazione con Bruxelles. Dall’altra parte dello spread c’è l’economia tedesca colpita al cuore dalle sanzioni contro il gas russo. Nell’ultimo trimestre il Pil italiano è cresciuto e quello tedesco si è contratto. A questo proposito l’FT mette nero su bianco alcune dichiarazioni di Francesco Giavazzi “l’Italia non è cambiata né in meglio né in peggio ma la Germania, all’improvviso, è diventata un Paese rischioso”. Lo spread, secondo Giavazzi, non riflette tanto il miglioramento dell’Italia quanto il peggioramento della Germania.
L’economia italiana cresce più della Germania anche a causa dell’effetto del Superbonus che ha dato un supporto al settore costruzioni senza eguali in Europa. È la stessa misura che ha mandato sulla luna il deficit italiano e che questo Governo non ha prorogato. L’effetto del Superbonus sull’economia italiana è destinato a scemare progressivamente mentre rimane il debito accumulato per finanziarlo. Ciò che conta per gli investitori sono però la prospettiva e le attese. Le attese sull’Italia, evidentemente, sono di una luna di miele con l’Europa e il rispetto, da parte di questo Esecutivo, degli impegni di rientro del debito presi con Bruxelles. Tutte le crisi dello spread, dal 2009 in avanti, si sono prodotte anche sull’asse Roma-Bruxelles; in alcuni casi, si pensi alla prima finanziaria del Governo giallo-verde, per deficit rivelatisi poi più bassi di quelli dei Governi precedenti. In questo caso si scommette che la concordia tra Italia ed Europa, sia politica che finanziaria, continui. Una sola delle due non è sufficiente a garantire la “pace” sullo spread.<
L’economia tedesca è da mesi al centro delle preoccupazioni. L’evoluzione dello scenario geopolitico colpisce la Germania due volte. La prima perché la priva del gas russo, il più economico a quelle latitudini, e la seconda perché minaccia i suoi mercati di sbocco. Pensiamo al rapporto sempre più instabile con la Cina oppure alla crisi nel Canale di Suez. L’Europa si avvia verso un grande programma di spesa pubblica che serve a controbilanciare uno scenario geopolitico sfavorevole e a finanziare la difesa; poi c’è l’appello al risparmio privato che, nel caso dell’Italia, sembra essere avviato verso la transizione green e al miglioramento della classe energetica dei condomini. È positivo per il clima, così si dice, e anche un enorme fonte di spesa per l’economia.
Lo spread si riduce quando si allineano le stelle della politica italiana con quella europea a tutto tondo e cioè sia nei target di deficit che negli obiettivi politici. In uno scenario di crescente consolidamento del debito europeo le differenze tra Paesi si attutiscono a patto, ovviamente, che ogni Paese faccia la parte che l’Europa le assegna sul deficit. L’Italia sembra aver abbracciato il nuovo corso europeo; questo è quello che pensano gli investitori. Le variabili sembrano però cambiate rispetto all’ultima crisi degli “spread”. L’Europa è andata molto avanti dal 2011 e poi c’è la guerra. I rischi per lo spread non sono più, forse, finanziari ma politici.
La Germania ha molto da perdere nel nuovo scenario soprattutto se il conflitto dovesse, com’è possibile, salire di intensità. L’euro e l’Europa sono andate bene all’Italia quando hanno garantito tassi più bassi e poi male quando l’Italia si è ritrovata con una valuta troppo forte e nessuna flessibilità valutaria con la Germania. La domanda a questo punto è se l’euro e l’Europa vadano ancora bene a Berlino e, in caso contrario, se questo prima o poi avrà conseguenze per lo spread.
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