Secondo la leggenda, peraltro presa come verità storica in alcuni libri di storia delle musica, la Missae Papae Pacelli di Giovanni Pierluigi da Palestrina è stata elemento essenziale per lo sviluppo del contrappunto e della polifonia e quindi della composizione nei Paesi che non avevano aderito allo scisma luterano. E’ al centro ad esempio di un’opera di Hans Pfitzner del 1917, che (in coproduzione con Londra e Monaco) avrebbe dovuto inaugurare la stagione del Teatro dell’Opera di Roma del 2000, e, a ragione del costo dell’allestimento, non venne rappresentata nella capitale. Nel lavoro, che ben rispecchia la leggenda, al Concilio di Trento si volevano bandire polifonia e contrappunto ma i Cardinali rimasero incantati dalle Missae composta da Palestrina e tornarono sui loro passi.
Della Missae sono circolate nei secoli varie versioni. Quale è la più vicina a quella che convinse il Concilio a tornare sui suoi passi? Lo chiarisce un volume di circa 200 pagine di grande formato di Florian Bassani che include un saggio in italiano ed in inglese (è lavoro di interesse mondiale) e la partitura a 12 voci. Il volume è stato presentato il 9 aprile dalla Fondazione Giovanni Pierluigi da Palestrina e da qualche giorno è in vendita.
Il libro, Il capolavoro di Palestrina ampliato. La Missa Papae Marcelli A’ XII, uno studio con edizione critica del musicista e musicologo Florian Bassani, docente presso la Scuola universitaria di musica a Lugano in Svizzera, è il progetto vincitore del Concorso internazionale sulla figura e l’opera del Palestrina che la Fondazione ha indetto nel 2018. E’ una delle iniziative della nuova edizione del Festival palestriniano, rinviato al 2021 per l’emergenza coronavirus. Il lavoro è stato pubblicato con il supporto del Ministero della Cultura per il suo alto volere scientifico.
Premiato per la “solida ed esauriente modalità di metodo e conduzione del lavoro”, la recente ricerca del prof. Bassani, che va a incrementare la collana “Musica e musicisti nel Lazio” della Fondazione Giovanni Pierluigi da Palestrina, il lavoro mette in luce alcuni aspetti della prassi esecutiva che testimoniano la consistente permanenza e fortuna dello stylus praenestinus nel tempo. Punto di partenza è la celebre Missa Papae Marcelli, senza dubbio l’opera più nota e popolare del Palestrina, sin dai giorni del compositore stesso. Scritta intorno al 1562, venne pubblicata a Roma nel 1567, come parte del secondo libro delle messe del Palestrina, il Missarum liber secundus. Per generazioni e fino all’Ottocento, la Missa rimase ampiamente diffusa non solo nella sua forma originale, ma anche in diverse varianti – ad esempio con le parti vocali ridotte o aumentate – testimonianza di riverenza resa al maestro da allievi e ammiratori durante i secoli.
Lo studio del Bassani fa finalmente luce su quella che fu la terza riscrittura della Messa, la Missa Papae Marcelli A’ XII, ovvero a dodici voci reali (contro le sei dell’originale palestriniano). Di autore ignoto, la Missa, fino ad oggi inedita, è pervenuta in due sole fonti manoscritte: la più importante, depositata nei fondi musicali di Santa Maria in Vallicella a Roma almeno dal 1794, è sparita fra il 2006 e il 2008, presumibilmente per furto e ad oggi ancora non si hanno notizie. È venuto in soccorso al Bassani la seconda fonte, creata nei primi dell’Ottocento da Giuseppe Baini, primo importante biografo del Palestrina. Spiega lo studioso nell’introduzione: “Purtroppo non esistono neanche delle riproduzioni fotografiche, per cui il presente studio si trova costretto a basarsi principalmente sulla copia di Baini, accompagnata dai cataloghi storici dell’archivio musicale di Santa Maria in Vallicella a Roma (oggi chiamata la Chiesa Nuova), nonché sulla memoria di chi scrive e di altri colleghi che hanno avuto occasione di visionare la fonte prima della scandalosa scomparsa. La presente pubblicazione va dunque vista anche nel segno della denuncia di questo atto barbaro e inutile”.
Attraverso un prezioso e dettagliato lavoro comparativo fra l’originale palestriniano e la Missa A’ XII, Bassani evidenzia nel manoscritto anonimo le influenze delle ultimissime conquiste compositive e della prassi esecutiva dell’epoca, rispecchiando perfettamente stile e tecnica dei primi anni del Seicento romano, cui è databile la Missa a dodici voci. Nonostante la nuova tessitura a voci reali (notabene, due volte il numero dell’originale), l’arrangiatore ignoto rimane in termini compositivi sensibilmente vicino all’esempio del Palestrina, un atto di omaggio nei confronti del grande maestro e idolo, di cui si cercò riflesso proprio nella sua opera più famosa.
La lettura del volume è semplicemente affascinante perché ci riporta alle trascrizioni ed alle prassi esecutive a cavallo tra fine Cinquecento e metà Seicento. Essenziale per i musicologi, coloro che sono semplici appassionati lo possono leggere come un vero “libro giallo” sulla ricerca delle varie versioni. Oggi così preziose da causare un furto in Chiesa al centro di Roma.
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