Non ha avuto molto spazio sulla stampa la nota della Banca d’Italia sulle proiezioni macroeconomiche per l’Italia, eppure contiene notizie tutt’altro che scontate. A noi non piace pensar male, ma a volte non se ne può fare a meno. Che cosa dicono gli economisti di via Nazionale? In sostanza mostrano che il rimbalzo tanto atteso sarà un sobbalzo, un singhiozzo, una ripresina, alla quale dovrebbe seguire una crescita economica ancora anemica anche nel 2022, tanto che il prodotto lordo perduto quest’anno (circa 9 punti) non verrà recuperato se non alla fine del 2023 sperando che di qui ad allora non ci saranno altre cadute. Ma lasciamo parlare la banca centrale:
“Dopo il ritorno a una crescita economica sostenuta nel terzo trimestre, cui hanno contribuito le politiche di sostegno messe in atto dal Governo, dall’Unione europea e dall’Eurosistema, il forte aumento dei contagi degli ultimi mesi si sta riflettendo sulle prospettive di breve termine. Sottostante alla proiezione di base qui presentata vi è l’ipotesi di un persistere sugli attuali livelli dell’epidemia nelle prossime settimane, di un suo successivo graduale ritorno sotto controllo nel corso della prima metà del 2021 e di un completo superamento dell’emergenza entro il 2022, grazie anche alla diffusione di soluzioni mediche efficaci. Si assume che la domanda estera per i beni prodotti nel nostro Paese, caduta di oltre il 10 per cento quest’anno, torni a espandersi in media di circa il 5 per cento all’anno nel prossimo triennio. I rendimenti dei titoli di Stato decennali, sulla base del profilo implicito nelle quotazioni dei mercati di metà novembre, sarebbero in media inferiori di circa 70 punti base nel triennio 2020-22 rispetto a quanto ipotizzato in luglio, per effetto dell’ampio accomodamento monetario e della riduzione dei premi per il rischio sovrano. Sotto queste ipotesi, lo scenario di base prefigura, dopo una contrazione del Pil in Italia del 9,0 per cento quest’anno, una ripresa nel prossimo triennio (3,5 per cento nella media del 2021, 3,8 nel 2022 e 2,3 nel 2023”.
La citazione è lunga, ma ci sembra opportuno riportare anche le ipotesi in base alle quali gli economisti hanno costruito le loro previsioni, ipotesi tutto sommato ottimistiche per quel che riguarda la pandemia che dovrebbe spegnersi l’anno prossimo, e per i mercati finanziari, ma nient’affatto consolanti per la ripresa economica. Altro che rilancio, l’Italia che ha chiuso il 2019 in ritirata e con un andamento del Pil di poco superiore allo zero, resta ancora in semi stagnazione se allunghiamo lo sguardo al medio periodo (cioè tre-quattro anni). Le misure di sostegno hanno avuto effetto nel breve periodo, ma si sono spente molto presto. Scrive ancora la Banca d’Italia: “Rispetto allo scenario di base pubblicato nel Bollettino economico di luglio, la revisione al rialzo nel 2020 riflette l’andamento particolarmente favorevole registrato nel terzo trimestre, mentre nel successivo biennio la ripresa è spostata in avanti di alcuni mesi. Il più contenuto dato medio annuo del 2021 risente dell’effetto trascinamento della flessione del prodotto nella parte finale del 2020; la crescita è più rapida dal secondo trimestre in poi e significativamente più forte nel 2022”.
Questo andamento favorevole dipende però dal Next Generation Eu, cioè dai fondi europei, quei duecento miliardi, poco più poco meno, che dovrebbero cominciare ad affluire nella seconda parte del prossimo anno, salvo intoppi sempre possibili (si parla di crisi di governo più o meno al buio, elezioni anticipate, rimpasto, un Conte tre e via via improvvisando). Gli economisti di palazzo Koch ipotizzano, sulla base alle informazioni ancora parziali oggi disponibili, un aumento del Pil del 2,5% nel triennio 2021-2023. “Il conseguimento di questi effetti dipende però dalla concreta specificazione degli ulteriori interventi, che si prevede vengano in larga parte definiti nei prossimi mesi e inclusi nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, e da una loro tempestiva attuazione”.
La Banca d’Italia fa bene a mettere le mani avanti. Quel che appare chiaro è che l’unico stimolo alla crescita potrà venire dal piano per la ripresa, che però avrà effetto se le cose vanno bene, tra un anno. Letta in filigrana la previsione ci dice che il Governo non ha fatto nulla per stimolare la crescita nel 2021. I 100 miliardi di euro stanziati per l’emergenza e gli oltre 200 miliardi di debito pubblico in più (si viaggia a due miliardi al mese) contratti con i risparmiatori italiani e stranieri, ma soprattutto con la Bce, hanno avuto un modestissimo effetto moltiplicatore. Gli uffici studi sono già lì con i loro calcolatori, ma basta un colpo d’occhio alle misure prese per capire che bonus, sussidi, ristori servono solo a tamponare, in parte, il crollo dei redditi e della produzione. Nella cascata di spesa pubblica che mese dopo mese esce dalla cornucopia del Tesoro non c’è spazio per gli investimenti, gli unici che possono sostenere l’occupazione e preparare alla crescita.
È una partita rinviata al Recovery fund, ma attenzione, il Governo ha già deciso di coprire con i prestiti della Ue spese che avrebbe dovuto fare comunque. Mentre agli investimenti verranno destinate le erogazioni a fondo perduto che hanno tempi più lunghi. Quelle europee sono risorse in prima fase sostitutive, le spese aggiuntive verranno dopo. L’intendenza seguirà. Se sarà in grado di farlo. Il mistero della mancata crescita è così facilmente svelato. Politica dei due tempi, come al solito. E il debito cattivo, direbbe Mario Draghi ricordando l’antica legge di Gresham, spiazza il debito buono.