Che la diplomazia marocchina avesse un urgente bisogno di ridefinire i contorni oltre i quali non operare, specie nelle missioni all’estero, era chiaro in primo luogo alle comunità marocchine residenti in altri Paesi, come quella italiana. Per troppo tempo si è infatti assistito a un uso (e un abuso) degli incarichi e dei titoli diplomatici per perseguire obiettivi personali, assai diversi da quelli dettati dalla responsabilità di rappresentare il Regno del Marocco nelle relazioni con lo Stato accreditatario.
Un buon ambasciatore, ad esempio, non dovrebbe istituire e presiedere associazioni con l’obiettivo d’influenzare l’orientamento della comunità su tematiche particolarmente sensibili come quelle religiose; non dovrebbe intrattenere rapporti privilegiati con un partito politico, facendo propaganda a suo favore per spingere i connazionali a votarlo; non dovrebbe fare pressioni sui connazionali affinché i familiari e gli amici di questi in Marocco supportino questo o quel personaggio politico; non dovrebbe disinteressarsi delle vere esigenze e problematiche della comunità di cui è stato posto al servizio.
Il disagio delle comunità marocchine, insieme all’eco di qualche scandalo, è così giunto a Rabat presso la sede centrale del ministero degli Esteri, che ha deciso d’intervenire per riaffermare le regole di condotta che ogni buon diplomatico è chiamato a seguire.
In particolare, come riportato sulla stampa marocchina, il ministero degli Esteri ricorda ai membri del corpo diplomatico di rispettare le leggi dello Stato accreditatario e la Convenzione di Vienna, che vieta espressamente di “interferire [nei suoi] affari interni”. Il ministero, inoltre, sottolinea la necessità di rispettare il “dovere di riservatezza” nell’utilizzo dei social media, per impedire la divulgazione di commenti inopportuni circa tematiche politicamente sensibili; di espressioni offensive di persone, organizzazioni o istituzioni sia nazionali che straniere; di dichiarazioni dannose per le relazioni tra il Marocco e lo Stato accreditatario. Il ministero si raccomanda anche di non effettuare o far circolare comunicazioni di natura commerciale o dalla fonte non chiaramente identificabile.
Si spiega così la prolungata permanenza all’Hotel Hassan di Rabat di circa venti diplomatici in procinto di recarsi all’estero. Il 25 aprile, il ministero aveva informato numerosi ambasciatori di aver ricevuto i nulla osta relativi al loro accreditamento, invitandoli a recarsi nella capitale per il tradizionale incontro con Re Mohammed VI prima di partire per le rispettive destinazioni. La maggioranza di questi ambasciatori ha preso alloggio all’Hotel Hassan, dov’è giunta il 29 aprile. Tuttavia, l’incontro con il Re, previsto il 30 aprile, non ha ancora avuto luogo, mentre i diplomatici a più di un mese di distanza proseguono la loro permanenza nell’albergo.
Ciò ha generato diverse speculazioni sulle motivazioni dell’accaduto e il ministero, facendo circolare la nota contenente le regole di condotta, ha interrotto il riserbo, lasciando intuire che le ragioni dietro il ritiro dei diplomatici in corso all’Hotel Hassan di Rabat sono di ordine disciplinare.
L’obiettivo è il cambiamento, correggendo quelle attitudini e quelle modalità di esercitare la funzione di diplomatico che non hanno giovato alla reputazione della stessa diplomazia marocchina. Il fatto che il ministero abbia deciso di richiamare all’attenzione autorevoli ambasciatori prima che si recassero in un nuovo Paese di missione è un forte segnale della volontà di proseguire con la linea del rigore senza sconti o scostamenti.
A beneficiarne saranno i diplomatici che svolgono il proprio lavoro con professionalità e serietà, nell’esclusivo perseguimento degli interessi del Regno del Marocco e delle comunità di espatriati come quella italiana, i cui membri saranno ben lieti d’interagire con nuovi ambasciatori, finalmente attenti alle loro vere esigenze e problematiche.