Se vi chiedo cos’hanno in comune l’avvocato, il pugile e il jazzista, la prima risposta che mi darete è: nulla.  E invece no.  L’avvocato sta al processo civile (ma volendo anche a quello penale) come il pugile sta all’incontro di pugilato.  Il jazz è l’aspirazione di entrambi per completarsi ed eccellere.



Il processo e l’incontro di boxe seguono gli stessi riti preparatori: lo studio della questione giuridica è pari alla preparazione in palestra per l’incontro; la redazione dell’atto giudiziario accompagnata dall’“inventio” la si può paragonare al raggiungimento della condizione atletica migliore per la performance che l’atleta deve affrontare; l’invito alla controparte a sfidarsi sul ring ideale, notificando l’atto di citazione avverso il quale la controparte si verrà a difendere, dinanzi a un giudice chiamato a verificare la regolarità del confronto, è perfettamente speculare all’invito all’avversario a salire sul quadrato, tra le 16 corde, a sfidarsi, correttamente, solo con i guantoni, alla presenza di un arbitro.



Vi sarà un vincitore, convinto di essere il più forte e il più bravo, al netto di variabili che possono giocare a favore in un determinato momento. Vi sarà un vinto, sicuro di essere più forte dell’avversario, ma di aver subito un torto talmente palese che, solo l’arbitro corrotto, non poteva notare. E allora perché entrare in contenzioso o salire sul ring? Perché l’animo umano è competitivo, ha bisogno di affermare la propria superiorità, di avere un obiettivo per sentire la riconoscenza di chi lo circonda.

In questa dinamica vi sono anche le anomalie che sono quelle che ci fanno sorridere: l’avvocato che non è preparato, tutto fumo e niente arrosto, e va ko contro l’avversario più capace, ma, a volte, anche solo più scaltro, a discapito della verità processuale; al pari del pugile, meno tecnico, e fisicamente meno preparato, che, con una scorrettezza durante l’incontro, magari non visto dall’arbitro, ne risolve a suo favore l’esito.



Cosa manca all’avvocato e al pugile per fare il salto di qualità? L’andamento jazz. Sì, proprio quella musica allo stesso tempo popolare e colta, ritmica, ma fatta di vuoti, di improvvisazione, allo stesso tempo di una regolarità costituita da un numero predefinito di battute, capace di farsi intendere al volo da chi parla la stessa lingua, lo stesso linguaggio musicale.

Immaginiamo l’avvocato che scrive l’atto giudiziario per difendere i diritti del proprio assistito, dovrà essere regolare, studiare, preparare la propria partitura, pronto a sfidare il collega avversario che, a sua volta, deve difendere diritti avversi. Entrambi, come i pugili sul ring, avranno una strategia propria, di studio dell’avversario, di attesa e di attacco, certi che potranno sferrare il colpo migliore al momento giusto, ma stando attenti a farlo, prima di essere troppo stanchi, o prima che l’incontro finisca.

Entrambi, però, saranno vuoti, anonimi, privi di passione se non saranno mossi dall’improvvisazione jazzistica; dovranno utilizzare un linguaggio semplice o una tecnica pulita in grado di raggiungere il risultato che il loro pubblico si aspetta. E come nel pugilato il gancio, il colpo circolare e potente, di attacco, con il rischio di scoprire il fianco, si chiama swing; e come lo swing, una variante del jazz, è un termine che deriva dall’andamento ritmico “dondolante” della tecnica esecutiva utilizzata, anche l’avvocato, dondolando tra le norme da applicare, alla ricerca della tutela degli interessi del proprio cliente, attende di sferrare quel gancio metaforico che abbatta l’avversario e vede trionfare la giustizia: quella del proprio cliente!

Ognuno è avvocato di se stesso, quando vuole perorare una propria idea o una propria causa; tutti siamo pugili, pronti alla difensiva e all’attacco in ogni occasione; pochi, però, si muovono a tempo, in un tempo jazz, musicale, romantico, che sa essere lento, ma anche veloce.

Musicalità, amici, ritmo, passione, ora più che mai ne abbiamo bisogno per sferrare il nostro swing a questo maledetto virus.