In una lunga e interessante intervista rilasciata alla Stampa per la penna di Marco Zatterin, il componente italiano del comitato esecutivo della Banca centrale europea (quella che l’attuale Premier Mario Draghi ha governato per anni) Fabio Panetta ha detto che il Mezzogiorno potrebbe avvantaggiarsi delle conseguenze del doppio shock sui mercati inflitto dalla pandemia e dalla guerra.
Letterale: “Lo dico da tempo. La pandemia e la guerra ci hanno aperto gli occhi sui rischi oltre che sui benefici di delocalizzare in aree lontane da noi e ci devono far riflettere sui vantaggi di investire al Sud. Il Mezzogiorno d’Italia è un’area più sicura e competitiva di altre parti del mondo…”. Se l’incoraggiamento arriva da una così autorevole personalità a Francoforte, ci possiamo credere.
Possiamo certamente prendere in considerazione la circostanza che la globalizzazione sta cambiando volto, si stanno accorciando le catene della fornitura e del valore, si sta ricomponendo il quadro delle alleanze produttive e commerciali. E possiamo credere nella probabilità che il nostro Sud non sia privato delle sue opportunità di crescita, ma, questa volta, addirittura premiato.
Si tratta, naturalmente, di un ragionamento ipotetico. Perché questo accada occorre che le regioni meridionali e suoi protagonisti siano in grado di approntare politiche competitive e attrattive di investimenti nazionali ed esteri in cerca di destinazione. Il che non è scontato affatto, perché non basta avere le caratteristiche giuste per vincere sul mercato, occorre anche attivarle.
E qui vengono le dolenti note, perché poco è cambiato nel tempo in termini di efficienza di sistema e di capacità delle imprese locali di fare da traino a quelle straniere. I dati delle più importanti istituzioni economiche ci raccontano che il Sud resta tra le più arretrate aree d’Europa. E la disoccupazione di ogni genere marca le ultime posizioni tra i 27 membri dell’Unione europea.
Siamo un po’ come quegli scolari intelligenti, troppo intelligenti e vivaci, che promettono bene e rendono male. Che se solo studiassero un po’ di più e si applicassero meglio sui problemi che devono risolvere farebbero faville perché come loro non c’è nessuno. Ma l’impegno scarseggia e il rendimento li condanna a voti bassi e talvolta alla bocciatura. Peccato sprecare così il talento.
Per fortuna ci sono anche le eccezioni che potrebbero e dovrebbero diventare la regola. Una di queste si è rivelata nei giorni scorsi a Palermo dove si è inaugurata la nuova stazione marittima. Il terminal crociere preso in gestione da due giganti del mare come Msc e Costa (ormai acquisita dall’americana Carnival) che promettono di portare qui le loro navi di ultima generazione.
Il miracolo laico non si è prodotto da solo, ma è il frutto di un gioco di squadra (finalmente l’espressione può calzare a un esempio concreto) che ha visto collaborare Regione, Comune e imprese con la regia dell’Autorità portuale presieduta da un manager giovane e già di lungo corso come Pasqualino Monti al quale il sindaco Leoluca Orlando ha voluto attribuire la cittadinanza onoraria.
L’opera recupera un vecchio e malandato edificio sottoposto a sequestro per tutta una serie di accidenti che segnavano in negativo la vita di uno scalo decadente. Con pazienza perizia e passione, e con il coinvolgimento di tutte le maestranze, quello che sembrava una chimera è diventata un fatto che dota la Sicilia di un motore economico capace di produrre soldi e portare lavoro.
Il modello Palermo e dei suoi porti – con Termini Imerese, Trapani e Porto Empedocle – andrebbe studiato a fondo perché insegna che la rassegnazione può essere sconfitta perfino nella patria del tutto cambi perché non cambi nulla. Se il Paese ha bisogno di buone pratiche può cercarle adesso dove non si sarebbe aspettato di trovarle. È il caso di dire: non sogni ma solide realtà.
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