Le celebrazioni per il primo anniversario della morte di Diego Armando Maradona hanno portato il risalto un episodio ben noto ai napoletani ma sconosciuto alla maggior parte degli italiani. Si tratta dell’ormai famosa Partita del Fango giocata dal campione nel gennaio nel 1985, ad Acerra, in un clima gelido su un campetto disastrato e pericoloso per la tanta pioggia caduta nei giorni precedenti.



Superando la comprensibile contrarietà della società sportiva, Maradona pagò di tasca propria l’assicurazione per sé e i suoi compagni di sfida pur di non mancare a una promessa fatta: esibirsi in periferia per raccogliere i fondi necessari a un bimbo povero del posto, suo tifoso sfegatato, a farsi operare in Francia. La grandezza del personaggio cominciava a delinearsi così.



Prim’ancora che al San Paolo, stadio che ora porta il suo nome, Diego costruiva la sua leggenda in strada tra la gente. Quel giorno freddo e ventoso furono in molti a temere in una sua defezione. Tutto sommato ne avrebbe avute tutte le ragioni. Il pericolo di un infortunio era decisamente troppo alto. A meno che la sua presenza non si dovesse trasformare in una semplice comparsata.

Invece Maradona diede spettacolo. Non risparmiò cuore e gambe correndo a perdifiato, dribblando, segnando, incitando i compagni, dispiacendosi per gli errori ed esaltandosi per le prodezze, rotolandosi nella melma come un bambino felice. Insomma, Diego s’impegnò come e forse più che in una competizione di campionato sotto gli occhi del pubblico che andava conquistando.



Ecco, la leggenda del Pibe de Oro – del più amato, acclamato e forte calciatore di tutti i tempi – nasce proprio con la prestazione che seppe regalare in condizioni proibitive al di fuori di ogni ufficialità contro una formazione di dilettanti increduli. I trionfi e i tonfi verranno dopo. E poggiano su una base di amore che cresce ogni giorno di più legando in modo indissolubile il fuoriclasse e la città che lo adotta.

Questo episodio dovrebbe essere raccontato e documentato a tutti gli aspiranti leader per la sua suggestione e l’insegnamento che ne può derivare. Per vincere le proprie battaglie non basta combattere nei luoghi deputati e nel conforto di contesti conosciuti. Occorre talvolta, e più spesso di quanto si possa credere, accettare di disputare la propria personale Partita del Fango.

È lì, dove c’è tutto da perdere e il rischio di fallimento è altissimo, che si possono vincere le più belle partite della vita. È lì che si riceve la legittimazione al rispetto, al giusto e meritato applauso. È lì che si forma la reputazione che fa di un uomo un uomo super se non proprio un superuomo al quale si può anche perdonare – e si perdona – qualche caduta e debolezza.

La fama di Mario Draghi, per fare un esempio vicino e lontano allo stesso tempo, si è formata in Bce nel fango del terreno scivoloso sul quale è stato edificato il Quantitave easing che ha salvato da una nuova crisi l’Europa e l’Italia prima che la pandemia rendesse tutti i governanti dell’Unione consapevoli della necessità di spingere la crescita invece che perseguire uno sterile rigore.

Se si vuole davvero raggiungere un risultato eccezionale, se si desidera meritare la benevolenza del proprio pubblico, se si ambisce essere percepiti alla stregua dei campioni, occorre essere disposti a uscire dall’ordinario. C’è bisogno di ricorrere al coraggio – almeno per chi sente di averlo – di affrontare imprese straordinarie e accettare il rischio della sconfitta.

Mettersi in gioco vuol dire soprattutto questo.

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