Tre chiese genovesi che si rendono disponibili a ospitare rosari in riparazione per il recente gay pride. La curia della Superba che interviene e prende una posizione nuova nel panorama italiano: non una stigmatizzazione del gay pride, non una condanna del gesto di preghiera. Solo l’invito – inequivocabile – a pregare in forma privata.



Cosa c’è dietro una simile decisione? Una resa alla mentalità “omoeretica”? Un cedimento da una delle più conservatrici delle diocesi italiane? Conoscendo le dinamiche che animano le curie, e in particolare quelle rette dai figli spirituali del cardinale Siri, la risposta appare semplice: da un lato il tentativo di non prestare il fianco a strumentalizzazioni. Dalle parti della cattedra di san Siro pare abbiano ben chiaro che oggi giorno ogni gesto di fede ha un chiaro valore politico e la comunità genovese vuole sfuggire ad etichette o impropri accostamenti.



Dall’altro la scelta della curia risponde ad una precisa consuetudine magisteriale secondo cui gli atti di riparazione non sono autoconvocati dal popolo, ma dal vescovo della diocesi.

Siamo quindi di fronte ad una scelta che c’entra poco e niente col merito della vicenda, probabilmente l’Eminenza che guida la città dal lontano 2006 condivide le istanze dei “riparatori”, ma non ne condivide il merito, ovvero il fatto di scavalcare il vescovo autoconvocandosi e appiattendosi su posizioni squisitamente politiche.

Da qui a emettere il provvedimento è stato un attimo. E ricordiamoci che Genova è una delle diocesi cui papa Francesco dovrà mettere mano a gennaio 2020 dopo due anni di proroga dell’attuale arcivescovo. Praticamente la nomina più importante di Bergoglio, ben oltre quella milanese agevolata dal docile Scola: una partita cui il fronte conservatore non vuole arrivare con le armi spuntate. E allora in qualche modo si allinea a Roma, riguadagna il centro della scena, s’impone come unico attore deputato a certe decisioni. E si prepara, silente, al momento più propizio per influenzare le scelte romane sulla diocesi forse in questo momento più delicata d’Italia.



Come a dire che niente è quello che sembra. E che dietro la posizione apparentemente arrendevole della Curia si gioca una partita decisamente più succulenta, quella della successione ad Angelo Bagnasco.