L’arresto di Pavel Durov, fondatore di Telegram, ha fatto aumentare l’attenzione sui social media e sul loro controllo. Prima di Telegram anche le altre maggiori reti social erano state coinvolte in vicende di censura. L’arresto del magnate russo, tuttavia, è più emblematico per l’argomento che affronteremo. Durov è stato arrestato dai francesi; oppure si è consegnato per sfuggire ai russi. La ragazza che era con lui è uscita subito dai radar, lo ha intrappolato, lo ha salvato o semplicemente non c’entra nulla.



Tutte queste ipotesi si sono rincorse in rete con pari risonanza e pari dignità. Le reti social, infatti, innaffiano incessantemente il globo con notizie, chiacchiere, spacciate per informazioni, provenienti dai suoi stessi abitanti. Anche informazioni vere e verificabili a volte vengono confezionate in modo fuorviante. Personaggi, organizzazioni, istituzioni; pubbliche o private cercano di usare le varie piattaforme per informare, convincere o spaventare. Ogni fatto ha uno stuolo di commentatori, esperti, tutti indipendenti, che comunque lavorano per qualcuno. E il quarto ambito strategico della guerra moderna. Informazione, controinformazione e disinformazione si confondono nel machiavellico simula e dissimula della grande mistificazione globale.



Il perverso algoritmo, inoltre, che regola i social coniuga informazione e intrattenimento e ci fa vedere solo ciò che ci piace. Questo falsa la percezione di chi naviga e lo fa sentire detentore del pensiero unico. Le chiacchiere e gli eccentrici sono sempre esistiti, ma oggi l’algoritmo, per tenere gli utenti dentro la piattaforma, crea un mondo su misura, senza contraddittorio, senza idee divergenti. Ognuno se la canta e se la suona come vuole, nel bene e nel male, e pensa di essere l’influencer di qualcun altro. Va bene, si dirà, dov’è il problema? Il problema sta nella dimensione e nella ramificazione della rete. Sapere chi trasmette, perché, come, dove e a chi arrivano i contenuti, questo è il problema. Poter rispondere alla madre di tutte le domande, cui prodest?, a chi giova la diffusione, l’applicazione pratica ed il radicamento di una certa idea. Il problema è non perdere il controllo dell’informazione globale, perché è chiaro che anche in democrazia il controllo spetta allo Stato. Ma chi controlla il controllore? Il motivo per cui tutti vogliono controllare i social media è appunto questo. Il mezzo del controllo è la censura.



All’inizio della tv e della radio era piuttosto semplice, bastavano leggi e strutture ad hoc. Anche se in Italia è bastata una piccola falla nel sistema, la liberalizzazione della televisione, perché Silvio Berlusconi in tre mesi creasse una struttura politica e ribaltasse i pronostici elettorali. Ricordiamoci che fine fece la gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto. Quasi una rivoluzione, impensabile senza il contributo delle reti televisive private. Ma comunque fino alla rivoluzione dei social, fino all’avvento della crittografia, un controllo ancora esisteva, la rete era aperta, non c’erano segreti. Nel 1976 infatti i matematici Helmann e Diffie inventarono la crittografia a doppia chiave che rendeva impossibile leggere la posta altrui, perché copiare la chiave privata è impossibile e non ci sono codici da scambiare. Questo principio è anche alla base della blockchain e delle criptovalute. Per questo gli Stati Uniti, nel 1976, dichiararono la crittografia “arma strategica” e ne impedirono l’utilizzo con la minaccia di pene gravi.

Ci sono voluti decenni di studi e battaglie anche legali per abbattere i divieti. Oggi il problema della crittografia non si pone, perché è stato superato dalla vastità dell’offerta di informazione incontrollata. Fa paura la divulgazione di una narrativa diversa da quella “ufficiale”, una narrativa non necessariamente terrorista o criminale, ma critica o divergente, o anche falsa, che proponga un quadro o una cornice sociale politica o militare diverse da quella desiderata, ancorché corretta. Per concludere, La libertà è partecipazione che può essere limitata dalla censura, dalla mancanza di informazione.

Ma guardiamo la situazione da un’altra prospettiva. Lo stesso effetto si raggiunge con l’eccesso di informazione, che crea disinformazione. Alimentando una malintesa libertà di parola. Ampliando a dismisura le reti social ed il sistema delle breaking news con una melma di chiacchiere e retroscena a sfondo personale che rendono l’informazione ricerca, spesso vana, di un ago in un pagliaio.

Forse oggi la vera censura non è nel limitare l’informazione. La censura oggi vive nell’impossibilità di riconoscere le informazioni nel mare di spazzatura mediatica che intasa e confonde i nostri sensi.

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