Gli obiettivi di decarbonizzazione in ambito comunitario e le dinamiche di prezzo dei certificati EU-ETS (Emissions Trading Scheme) stanno spingendo la siderurgia europea a ripensare i processi avendo come orizzonte a medio e lungo termine la progressiva sostituzione della produzione a ciclo integrale (BF-BOF: cokeria, agglomerato, altoforno e convertitore) con quella da forno elettrico (EAF) alimentato da impianti che producono preridotto (DRI – Dry Reduced Iron).
Quanto sta avvenendo a Taranto – per ragioni non solo legate alle emissioni di CO2, ma soprattutto per la pressione ambientale del territorio – è di fatto un’anticipazione di quanto sta per avvenire in tutta Europa.
In altri stabilimenti siderurgici francesi, tedeschi e austriaci si stanno infatti lanciando progetti di decarbonizzazione a medio termine (EAF + preridotto) e a lungo termine (idrogeno). È di questi giorni l’annuncio di un progetto svedese per la costruzione di un prototipo (250 mila tonn/anno) che sarà operativo da 2024 e sarà alimentato a idrogeno verde.
Sulle possibili evoluzioni al 2050 della siderurgia europea, si guardi il grafico che segue:
Questo processo è molto studiato sul piano tecnico ed economico, ma mancano al momento seri approfondimenti su quelli che saranno gli impatti occupazionali. Eppure si tratta di un problema impellente e di dimensioni rilevanti che in Europa riguarderà centinaia di migliaia di persone.
I dati aggiornati sia della produzione (tonnellate/anno) nei diversi impianti, sia delle persone occupate al loro interno (tonnellate/addetto) e nell’intera catena del valore, sono ampiamente disponibili e da essi si desume che la produzione annua pro capite di un’azienda a forno elettrico può variare in base all’efficienza e alla tipologia di prodotto dalle 1.000 alle 1.400 tonn/anno. Nella maggiore acciaieria italiana a forno elettrico, si producono e lavorano 3,5 milioni di tonnellate/anno di acciaio con 2.000 persone, ovvero 1.700 tonn/anno pro capite.
Se prendiamo a riferimento l’impianto di Taranto (ciclo integrale e laminatoi) sappiamo che l’organico dichiarato per produrre e lavorare 6 milioni di tonnellate /anno di acciaio è di circa 8.200 persone (1.500 sono rimaste in Amministrazione straordinaria): in questo caso la quota pro capite sarebbe di poco superiore alle 700 tonnellate (circa la metà di quanto rilevato in un impianto EAF).
Un dato è certo: il processo di decarbonizzazione sposterà progressivamente la produzione dal ciclo integrale al forno elettrico e, posto che un impianto DRI a supporto del ciclo decarbonizzato occupa tra le 150 e le 200 persone per una produzione di 2 milioni di tonnellate, il settore si troverà in una situazione di criticità sociale paragonabile a quella che negli anni ’80 venne affrontata, a livello comunitario, con l’attuazione del cosiddetto “Piano Davignon”.
È pertanto evidente che senza interventi straordinari – simili a quelli della legge 181/89 che accompagnarono il piano di ristrutturazione Finsider/Ilva che portò tra l’altro alla chiusura di Bagnoli e Campi – sarà impossibile gestire con il consenso di lavoratori e sindacati il processo di decarbonizzazione in parte già concluso a Piombino e Trieste (con la fermata e l’abbattimento degli altoforni) e in fase di avvio a Taranto.
Gli strumenti che consentirono la gestione della ristrutturazione di fine anni ’80 furono: la reindustrializzazione (purtroppo più proclamata che attuata: si guardi a Bagnoli) e i prepensionamenti al compimento del cinquantesimo anno di età. Successivamente, con la legge 257/1992, si è dato avvio ai prepensionamenti per esposizione all’amianto che in siderurgia ha avuto un forte impatto in termini di perdita di competenze, mentre l’occupazione è rimasta costante con l’inserimento di un buon numero di giovani lavoratori (per questo l’età media dei dipendenti siderurgici italiani oggi è mediamente inferiore a 50 anni).
I problemi occupazionali che oggi si trova ad affrontare Piombino e che domani si troverà ad affrontare Taranto sono molto seri e preoccupanti e non possono essere nascosti per altro tempo con il solo massiccio ricorso a Cig più o meno straordinaria. Ma non sarà meno drammatico l’impatto che a breve dovranno affrontare la Francia, la Germania e più in generale l’Europa dove, peraltro, la produzione da ciclo integrale è ancora predominante rispetto a quella da forno elettrico.
Come si legge nella tabella, solo 6 Paesi minori non hanno altiforni, mentre in altri 7 (fra questi Francia, Germania e UK) la produzione da ciclo integrale supera il 70% della produzione totale di acciaio.
A nostro parere, quindi, vi sono le premesse per promuovere un’iniziativa, anche e soprattutto europea, che trovi delle soluzioni privilegiando il ricollocamento dei lavoratori attraverso serie politiche attive (riqualificazione e avvio verso nuovi mestieri e nuove attività, soprattutto per le fasce di età fino a 50/52 anni), ma senza escludere la possibilità di procedere anche con norme che agevolino il pensionamento anticipato per le fasce di età più difficilmente ricollocabili. La “questione siderurgica”, nell’ambito degli obiettivi definiti con il NGEU, è di notevole importanza perché la riduzione/annullamento degli effetti inquinanti in questo settore riguarda aspetti ambientali e di salute, oltre che economici.
Dal Governo italiano, per l’autorevolezza che oggi lo distingue, ci si aspetta un’iniziativa forte verso la Commissione europea per mettere in agenda la riorganizzazione del settore e le conseguenze sociali che sta già determinando. Non si deve dimenticare, infatti, che già oggi tra Taranto e Piombino le persone che non hanno occupazione certa sono oltre 5.000 e i futuri investimenti faranno lievitare notevolmente questo numero.
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