Anche se la lotta di classe si è dissolta nel secolo scorso, gli imprenditori italiani, salvo eccezioni, non godono di buona fama. La continua ricerca di sussidi e agevolazioni, il ricorso facile alla cassa integrazione, la limitata capacità di crescere con fusioni e integrazioni sono tutti elementi che spiegano come la struttura dell’economia sia stata e rimanga incentrata sulle piccole e medie imprese. Poche hanno saputo crescere e sul lato opposto i grandi gruppi hanno perso smalto e spesso anche identità. È significativo che per la Confindustria sia difficile la ricerca di un vero imprenditore da eleggere alla presidenza per i prossimi quattro anni.
Le eccezioni si contano sulle dita di una mano: si possono citare Ferrero, Luxottica, Brembo. Anche se rimane ancora un esempio (quasi) senza paragoni quello di Adriano Olivetti che negli anni ’50 del secolo scorso rilanciò l’Olivetti praticando nei fatti quell’umanesimo industriale che considerava la fabbrica una comunità di persone, che univa nell’innovazione tecnologica il gusto del bello, che valorizzava i dipendenti e le loro famiglie con iniziative sociali e culturali.
Ma se quella di Adriano Olivetti è stata un’esperienza irripetibile ci sono state e ci sono imprese che, magari silenziosamente facendo parlare solo la loro presenza sui mercati e nelle realtà locali, hanno seguito quella strada e soprattutto quei valori. Una di queste è certamente la Ferrero, la più grande industria dolciaria italiana e una delle prime mondo, un’azienda familiare nata ad Alba nel pieno della Seconda guerra mondiale e giunta alla terza generazione. Alla morte del fondatore, Pietro Ferrero, il comando è passato al figlio, Michele, che a sua volta a fine anni ’90 ha lasciato le redini dell’azienda ai figli Pietro (poi vittima a soli 47 anni di un infarto) e Giovanni che ora guida il gruppo.
All’esperienza e ai successi di Michele Ferrero ha dedicato un libro Luca Cottini, giovane professore associato di studi italiani alla Villanova University (Philadelphia, Usa), ideatore del progetto Italian Innovators, un canale YouTube in cui vengono tracciati i profili degli uomini e delle donne che hanno dato vita ai più grandi marchi italiani.
Il libro (“Il fabbricante di cioccolato – nel mondo di Michele Ferrero”, ed. Piemme, pagg. 142, € 19) non è una biografia, quanto la storia appassionante di quello che non è solo un caso aziendale, ma è soprattutto la vicenda umana di una persona che ha saputo coniugare lo spirito imprenditoriale con la visione sociale, i valori di partecipazione e solidarietà con una fede profonda che trova imprevedibili espressioni: per esempio, chi poteva immaginare, e il libro lo spiega, che il nome di Ferrero Rocher derivasse dal nome (Rocher de Massabielle) della grotta delle apparizioni della Madonna a Lourdes?
La vicenda della Ferrero portata al successo mondiale da Michele, spiega Cottini, “promuove un’idea di leadership diversa da quella anglosassone, non solo per quanto riguarda la figura del capo (inteso più come un capitano d’impresa che come un manager), ma anche per quanto riguarda i dipendenti – spesso artigiani nel settore manifatturiero, meccanico o alimentare – che sono incoraggiati a dare non solo ciò che è richiesto, ma un ‘oltre’ creativo, mettendo in gioco la loro passione e aggiungendo a un lavoro ben fatto il tocco genuino della propria personalità. Questa autenticità, che il sistema italiano nutre, è il cuore vitale del suo successo”.
Passione, creatività, intuizione, vicinanza al cliente: queste le strategie industriali di un capo azienda che ha saputo declinare il cioccolato in tutte le sue dimensioni e con un’attenzione a tutte le fasce di età: dai Kinder al Mon Cherie con sullo sfondo l’eterna attualità della Nutella, un simbolo concreto della dolcezza.
Quello che contraddistingue la “ferrerità”, come la chiama Cottini, è così “un’appartenenza radicata e aperta, in un senso orgoglioso e umile del lavoro, in un’idea piena e qualitativa della vita, sia come ‘fare’ che come ‘essere’. La speranza audace e l’impegno imprenditoriale di Michele Ferrero hanno costruito così nel tempo un mondo e un’avventura che ci appartengono e ci rendono pieni di orgoglio”.
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