Ogni anno tengo diverse docenze sulle tematiche relative alle soft skill e alla negoziazione in aule contenenti numerosi imprenditori delle PMI. In principio, essendo abituato a lavorare quasi esclusivamente con grandi aziende, ero solito semplificare molto sia gli aspetti teorici che le esercitazioni da svolgere in classe. Ritenevo infatti che le persone a capo di piccole aziende e quindi non avvezze ai grandi processi organizzativi che affrontano invece le multinazionali, non fossero interessate a entrare nel merito di come ragionassero queste realtà. Con mia sorpresa invece, fin da subito, questi imprenditori hanno ricercato un costante aumento del livello di complessità didattica proposto, dimostrando una curiosità per l’argomento che mai avrei pensato di riscontrare in questa tipologia di figura professionale.



Mi ha colpito particolarmente, durante una lezione specifica, il desiderio di farsi raccontare il percorso di change management e il processo negoziale da me affrontati rispettivamente per due aziende di due e cinque miliardi di fatturato. Approfondendo il dialogo con loro sulla base di queste richieste è emersa un’interessante riflessione su ciò che serve oggi nelle aziende italiane, ovvero riuscire a conciliare, da una parte, i gradi processi strategici e, dall’altra, la loro declinazione operativa, il tutto all’interno di realtà di alcuni milioni di fatturato, proprie del nostro tessuto italiano.



Questa loro visione ha reso la nostra relazione via via sempre più intensa e personale perché per applicare i modelli tipici delle multinazionali alle realtà delle PMI occorre necessariamente una creatività e una genialità tali che solo gli imprenditori italiani possono esprimere al massimo grado. Sembra quindi stia avanzando una nuova classe dirigente di imprenditori che conoscono bene le tematiche della globalizzazione e tuttavia non le temono, in quanto consci di avere un unicum da esportare su tutti i mercati.

L’ultima prova di ciò che affermo l’ho avuta lavorando proprio con l’amministratore delegato di una PMI. Egli si è trovato a intraprendere la collaborazione con un’azienda di oltre 90.000 dipendenti, in un rapporto negoziale che lo ha visto inizialmente schiacciato sulle posizioni proposte dalla multinazionale. Ho potuto assistere nel tempo alle reazioni della sua PMI, la quale ha saputo creare un equilibrio tale tra l’elevatissima qualità del suo operato, il grande spirito di problem solving e una notevole modalità di impostazione delle relazioni business, da favorirla rispetto a un’azienda concorrente inglese di dimensioni 10 volte superiori.



Questo piccolo ma importante caso di successo è inoltre l’ennesima dimostrazione che quando nella stessa azienda si uniscono la metodologia e i processi propri delle multinazionali con la qualità e la creatività caratteristiche solo degli imprenditori, si crea un mix, non solo unico ma essenziale per il mercato. Forse anche per questo motivo, le aule che hanno ospitato queste persone, pur essendo così particolari, sono tra quelle che ricordo con maggior piacere, perché rievocano continuamente in me la verità di una frase di Charlotte Brönte: “Combinazioni inedite di circostanze, chiedono regole inedite”