La Commissione europea ieri ha annunciato un nuovo piano “Step” a supporto della “leadership europea sulle tecnologie critiche”. Il piano, per usare le parole della Commissione, riflette uno scenario in cui “l’industria europea è sfidata da inflazione alta, mancanza di lavoratori, problemi nelle catene di fornitura, tassi di interessi crescenti, incrementi dei costi energetici e della produzione”. Questo scenario, secondo la Commissione, “si accompagna con una competizione serrata e non sempre corretta sul mercato globale frammentato”.



Così in cinque righe la Commissione descrive lo scenario che via via diventa più evidente e che rappresenta una frattura con il quadro in cui l’Unione ha operato negli ultimi tre decenni. Il mondo che si è concluso ufficialmente con l’invasione della Russia in Ucraina era un luogo in cui l’Unione europea poteva aspirare a prosperare nonostante la sua debolezza politica e in cui tutto quello che serviva alla sua industria era disponibile sui mercati globali senza dover pagare un prezzo politico. Questo mondo viene meno rapidamente. Se l’Europa non riesce a trovare una nuova ricetta il rischio è un impoverimento dei propri cittadini sia in senso assoluto che in senso relativo rispetto ai “concorrenti”.



L’Ue risponde a questo scenario annunciando un piano da 110 miliardi di euro che sono il risultato di un’allocazione di risorse addizionali di 10 miliardi di euro. Questa somma viene moltiplicata presupponendo un moltiplicatore di dieci oltre ad altri aggiustamenti e accantonamenti. Le aree di intervento riguardano le tecnologie digitali, le tecnologie “clean” (come le rinnovabili) e le biotecnologie.

L’Inflation reduction act messo in campo dagli Stati Uniti ormai quasi un anno fa e con cui Washington vuole rilanciare l’industria americana in un mondo che non ha più la Cina come fabbrica del mondo vale quasi nove volte in termini di investimenti. La Commissione europea spiega inoltre che il programma verrà implementato una volta approvato dal Parlamento e dal Consiglio europeo. Ci vorranno quindi ancora mesi e, infatti, la Commissione non si impegna su date precise.



Mentre l’Unione lancia Step, Intel annuncia un piano di investimenti da 33 miliardi di euro per sviluppare due fabbriche di chip a Magdeburgo. Il Paese guidato da Olaf Scholz ha garantito 10 miliardi di euro di sussidi, alzando la somma inizialmente ipotizzata di 6,8 miliardi. Nel frattempo i piani della multinazionale americana per un nuovo impianto in Italia rimangono in discussione e il nostro Paese deve affrontare i piani concorrenti di altri Paesi membri tra cui la Spagna. La Germania ha messo in campo la stessa somma su cui si basa l’intero piano della Commissione per un piano più concreto, con tempistiche più definite e un impatto occupazionale per migliaia di posti di lavoro, più l’indotto, molto più preciso.

In un mondo in cui si rompono le catene di fornitura, in cui si ridefiniscono le alleanze e i rapporti tra Stati, in cui le materie prime e le risorse che fanno funzionare i sistemi industriali hanno, oltre a un costo monetario, anche un costo politico, gli Stati ritornano protagonisti. Non ci si deve stupire che emerga tutta l’inadeguatezza della costruzione europea che non ha un esercito, non ha una politica estera o industriale comune e in cui le discussioni per mettere insieme interessi e sistemi Paese diversissimi richiedono mesi e mesi. I singoli Stati, come dimostra l’efficacia del Governo tedesco nel caso del nuovo impianto di Intel, sono infinitamente più attrezzati per navigare questa fase anche solo per una questione di rapidità di programmazione e allocazione delle risorse.

L’euro fa ancora comodo all’attuale assetto europeo, soprattutto se diventa uno strumento in cui alcuni Paesi membri diluiscono la forza della valuta che avrebbero in alternativa in un mondo di guerre commerciali. La conflittualità dentro l’Eurozona, però, è destinata ad aumentare e a diventare più cattiva perché il tempo in cui l’Unione poteva aspirare a diventare un soggetto politico internazionale di primo piano è scaduto e quello che rimane può solo essere usato come strumento al servizio degli interessi dei singoli Paesi membri che spesso e volentieri confliggono; per rimanere all’esempio di Intel, per assicurarsi i due o tre progetti industriali disponibili in tutto il continente.

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