Sono ottimista di natura e spero, quindi, che il decreto legge “semplificazioni” segni una svolta in un’anomalia tutta italiana: rispetto al resto del mondo che ho avuto la ventura di conoscere (dalla Papuasia agli Stati Uniti) ci sono troppi magistrati (e troppe stazioni appaltanti) per pochi appalti. Negli ultimi trent’anni, gli investimenti pubblici sono diminuiti alla grande: dal 3% circa a meno dell’1% del Pil.
Lo prova la situazione del parco infrastrutturale: ingolfato, vecchio e pieno di buche. Le “stazioni appaltanti” sono cresciute per arrivare al numero di circa tremila, alcune anche piccolissime.
Nel contempo, probabilmente pensando che la magistratura ordinaria non sia capace di affrontare problemi di criminalità e di ordine pubblico, non solo magistrati sono spesso chiamati a presiedere commissioni di aggiudicazione (attività che comporta laute prebende), ma è stata affidata loro la stesura di un codice degli appalti che ha procurato all’Italia un’azione per infrazione da parte dell’Unione europea. Il timore che dietro i rari appalti che vengono effettuati si nasconda la malavita fa sì che per anni gli appalti siano oggetto di scrutinio da parte della Corte dei Conti, della Direzione investigativa anti-mafia e dall’Autorità nazionale anti-corruzione e chi-più-ne-ha-più-ne-metta. Anche se, da quel che si legge sulle cronache, soprattutto quelle relative al Csm, a certe procure e a eventuali logge magiare, molti magistrati hanno contezza di cosa è la corruzione, i risultati di questo sistema sono un freno generale alle opere pubbliche e, se il sistema non viene cambiato, un impedimento alla realizzazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).
Nel decreto legge “semplificazioni” si comincia a mutare strada. Si riducono “le stazioni appaltanti” e si mutuano dalle regole europee (peraltro identiche a quelle della Banca mondiale e delle altre Banche di sviluppo), metodi per fare sì che anche le piccole e medie imprese (pure tramite sub-appalti) possano partecipare ai lavori. Infine, per supplire al vero nodo creato negli ultimi trent’anni, si prevede “l’appalto integrato”, che preveda sia il completamento delle specifiche tecniche (quali capitolati dettagliati con computi metrici), sia i lavori.
Quale questo vero nodo? Nella mia esperienza con il Fondo investimenti e occupazione negli anni Ottanta del secolo scorso e per aver fatto parte di un paio di commissioni di collaudo, ho avuto la netta impressione che i problemi non fossero le procedure di affidamento dei lavori o di commesse ma i capitolati (e computi metrici) piuttosto grossolani, uno specchio di come la Pubblica amministrazione si è impoverita di competenze tecniche, soprattutto nel campo ingegneristico. Quaranta anni fa, l’allora ministero dei Lavori pubblici e i “servizi tecnici” della presidenza del Consiglio, nonché le maggiori Regioni e i grandi Comuni, avevano le professionalità necessarie; sono state gradualmente sostituite con personale di formazione giuridico-amministrativo. Se sono state depauperate le amministrazioni centrali dello Stato, figuriamoci le “stazioni appaltanti” di Regioni e Comuni.
Mancando documenti con dettagliate specifiche tecniche, la gara diventa “al massimo ribasso” non “at the lowest evaluated bid”, dove il termine chiave è evaluated, ossia valutato in termini di corrispondenza alle specifiche. Se non ci si fida delle regole dell’Ue e delle Banche di sviluppo, si legga “Handbook of Procurement”, Cambridge University Press, curato da Gustavo Piga, che non è né un magistrato, né un giurista ma un professore di economia all’Università di Roma, Tor Vergata.
Per circa dieci anni, quando dirigevo una divisione della Banca mondiale, dovevo ogni sera inviare telegrammi di “nulla osta” per le proposte di affidamento di lavori civili e di commesse di impianti in una ventina di Paesi africani. Potevo fare ricorso al servizio legale della Banca – lo feci una mezza dozzina di volte – ma avevo due vice, ambedue ingegneri, che, studiata la documentazione, preparavano i telegrammi. Un paio di volte emersero problemi. Una volta (in Zambia) la ditta di costruzione finì in amministrazione controllata con serie implicazioni per i lavori. Un’altra volta (in Ruanda) ci fu un vero e proprio imbroglio di cui non si accorse il collega dell’ufficio di Nairobi che erogava il finanziamento. Vennero prese misure come la revoca del finanziamento. In un altro caso, abbiamo dovuto anche fare cambiare la Costituzione di un Paese (Burundi) che, al momento dell’indipendenza (nel 1960), su suggerimento della magistratura belga, aveva costituzionalizzato l’applicazione del codice emesso da Re Leopoldo nel 1908: l’intenzione era forse buona, ma, come parte del codice italiano, impediva a piccole e medie imprese di partecipare a gare e a sub-appalti, con il risultato che le tre medio-grandi imprese esistenti regolavano chi avesse l’aggiudicazione al ristorante Les Sources du Nil. Come si vede, anche dall’Africa centrale i zelanti estensori del codice degli appalti nostrano possono imparare.
Essere ottimista non vuole dire farsi illusioni. Tecnici in grado di preparare buoni documenti di gara con specifiche e computi metrici non si trovano facilmente sul mercato con selezioni e contratti a valere sul Pnrr. Necessitano di essere affiancati da esperti maturi, un esemplare raro. Affrettiamoci prima che gli ultimi vadano in pensione.
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