Nel Terzo Millennio, l’evoluzione economica, oltre a confermare la validità di alcuni fondamenti del sistema capitalista, mostra quanto diversamente pesa la struttura di produzione e di distribuzione del valore aggiunto rispetto a poco più di 200 anni fa. Nell’indicare una diversa natura e un diverso peso specifico dei fattori produttivi alla luce delle innovazioni prodottesi – il cui tasso di espansione appare in accelerazione – si pone una grande, epocale sfida, sul futuro delle relazioni produttive e sociali e fino a quelle politiche. Qual è questa sfida? È quella di far evolvere il sistema vincente lavorando sulla sua strumentalità e privilegiandone quegli aspetti positivi (accennati più avanti) che bloccano la sua attrattiva materiale e culturale di una concezione dei rapporti economici e sociali che recepisce ed esalta comportamenti di casta. Comportamenti questi che non sono leve positive d’impresa, ma le distorcono (e ne distorcono i valori) in una concezione neofeudale che porta all’isterilimento delle condizioni della mobilità sociale fino a determinarne l’annullamento.
Ciò ricrea l’immagine fuorviante del contratto sociale come patto tra proprietari mentre sostanza ne è lo sfruttamento delle facilitazioni che di volta in volta si creano negli assestamenti dinamici del mercato… Per questo bisogna tenere sveglio l’occhio e l’intelletto alla Via (come si dice in Marina), quella da percorrere sotto i colpi del maglio del downsize con tutte le ripercussioni in campo politico e sociale, che si manifestano con il relegare solidarietà e sussidiarietà a mere forme di assistenzialismo da rimuovere prima o poi per ragioni di costo.
“Nessun pasto è gratis” recitava Milton Friedman. È vero. Peccato che prima di scrivere il titolo non abbia riflettuto sul valore, il contenuto e l’allocazione di una scelta che non è gratuita se non in termini di beneficenza Motu proprio, ma appartiene a un contratto sociale con costi e benefici che ogni società civile e politica valuta e statuisce. Altrimenti ci si aspetti un disequilibrio folle poiché quanto vantato dal capitalismo di mercato, prima incardinato e poi incastonato come gemma nelle colonne di pietra del Tempio di Salomone, diviene in verità pezzo di vetro.
Patrimonio comune vera gemma è il fatto che impresa, mercato, lavoro, circuito capitalistico funzionano se e quando si qualificano come fattori che interrelati sostengono e traggono alimento dalla società aperta. La dimensione di apertura di tale società è insita nel suo grado di democrazia. Essa trova quindi nei sistemi di democrazia parlamentare rappresentativa e nella presenza in essi di corpi intermedi quelle possibilità di espressione e anche controllo a essi connaturate che facilitano e salvaguardano le condizioni atte a dare continuità alla società aperta, affinché la libertà possa continuare a rappresentare il bene maggiore che permetta all’uomo di lavorare per ridurre al minimo le condizioni ostative della sua elevazione materiale e spirituale. Dal “vivo per lavorare” al “lavoro per meglio vivere” pur persistendo il biblico fardello. Non è il capitale nella sua accezione strumentale a creare imbarazzo.
In questa luce l’impresa e il lavoro trovano la loro migliore saldatura nella società aperta perché questa “muove” la proprietà, qualsiasi, a espandere il cerchio degli scambi e della produttività verso una maggiore prosperità la cui distribuzione coinvolge ogni anello della catena di trasmissione del processo, attivando altresì, a seconda delle condizioni, sia sussidiarietà, sia solidarietà per un ulteriore risultato. Quale? Migliore sfruttamento delle risorse e recupero degli esclusi dal circuito produttivo.
Ma lo sapete che capitalismo deriva oltre che da capita, anche da caput, quella dell’uomo 4.0 e 5.0? I risultati sono sotto gli occhi di tutti… ma forse non tutti sanno che Keynes nella sua General Theory scrisse che sono le idee che viaggiano con il cuore degli uomini a determinare il corso degli eventi. Il denaro è a seguire. Dopo. E poiché si è convinti che la moneta buona scacci la cattiva, capovolgendo così il teorema Grisham, la sfida è nel nostro cuore e tra le nostre mani… “finché avremo tempo”.
(2- fine)