Tutti i telegiornali sono ormai dettati come se si trattasse di un bollettino di guerra con i numeri sull’andamento dell’epidemia da coronavirus. Numeri che vengono ripetuti più volte al giorno, su tutti i canali di informazione, e che da molte settimane non lasciano scampo: numero di nuovi casi; numero dei guariti e numero dei decessi, con le variazioni rispetto al giorno precedente. Difficile sottrarsi a questa ondata di morte, che a volte scende in un dettaglio puntiglioso e precisa quanti medici e infermieri sono morti; quanti sacerdoti; quante persone in pieno esercizio del loro lavoro: forze dell’ordine, commesse del supermercato, impiegate in uffici strategici, come l’anagrafe, ecc.
Il tutto accompagnato dall’unica misura di difesa finora evidenziata: state a casa; non vi muovete; e comunque sappiate che tutto, ma proprio tutto è chiuso. Strade deserte: altrimenti ci sono mute salate per chi si fa trovare fuori senza giusta causa. E la giusta causa sembra riconducibile solo a fare la spesa, andare in farmacia e a comprare il giornale. Anche le chiese sono spesso chiuse; e perfino il medico di famiglia suggerisce di chiamare per telefono, senza andare. Tutti pregati di tenersi alla larga dagli ospedali: doveroso chiamare prima e non presentarsi direttamente. Genitori anziani e figli rigorosamente separati, per proteggere e proteggersi dal possibile contagio. Proibito l’incontro con i nipoti. Morte e solitudine sembrano essere il leitmotiv che rimbalza da un telegiornale all’altro, comprese le conferenze stampa della Protezione civile, del Presidente del Consiglio e gli avvisi sub specie pubblicitaria che occupano regolarmente gli intervalli tra un programma e l’altro, in un crescendo di messaggi talvolta ironici, ma più spesso semi-catastrofici.
L’epidemia da Covid-19 sta provocando nel mondo intero un numero crescente di vittime, quasi sempre per la grave forma di polmonite che provoca un distress respiratorio che neppure i ventilatori di ultima generazione riescono a controllare. Si muore per mancanza d’aria, sentendosi soffocati, senza riuscire respirare, anche se sono vicini i nuovi angeli dell’assistenza, come papa Francesco ha chiamato medici e infermieri. Nuovi eroi di una società civile che fino a ieri sembrava rispondere solo alle sollecitazioni di uno spiccato individualismo e che oggi invece si scopre capace di solidarietà eroica. Assistono pazienti che muoiono lontano dalle persone care; privi di quella assistenza spirituale che molti di loro avrebbero desiderato, per dare un significato a questa morte che sopraggiunge con un preavviso così breve.
La solitudine del paziente colpito da Covid-19 inizia prima con la quarantena, che lo esclude dalla vita di famiglia o comunque dalla vita sociale del contesto in cui si trova. Poi, subentrano i tamponi con il loro verdetto: positivo o negativo. A seconda del risultato, si passa alla fase successiva: il vero e proprio iter del malato, che spera sempre di farcela. Tutti sanno che solo un 10% dei malati avrà bisogno di terapia intensiva e di questi sono pochissimi quelli che non ce la fanno. Di Covid-19 ci si ammala e si guarisce. Ma i morti sono soprattutto gli anziani; quasi sempre coloro che vivono in una RSA e hanno già una qualche malattia contratta prima. Sono malati cronici, disabili, persone con una qualche malattia rara. Oggi si pensa soprattutto alla salute fisica; ma non si può trascurare la salute mentale, che certamente subirà un forte contraccolpo anche per via della crisi economica che stiamo attraversando.
Ma la solitudine al tempo del coronavirus registra anche un altro dato di cui si parla poco, anche in TV, come un estremo tabù che richiede delicatezza e prudenza, per non allargare le maglie di una sofferenza sempre più profonda e già molto estesa. I suicidi sono in aumento durante l’emergenza coronavirus e a togliersi la vita sono, ancora una volta e per la maggior parte, persone anziane. Non è ancora stato pubblicato un dato ufficiale in merito, eppure sono sempre di più le notizie di cronaca. L’episodio più recente ha avuto luogo a Savona, dove un anziano si è tolto la vita perché non poteva vedere il suo nipotino. Ma non è l’unico nel savonese, dove diverse persone sono morte suicide; in maggioranza uomini di età compresa fra i 75 e gli 80 anni. Anche fra i dipendenti ospedalieri si registrano diversi casi di suicidio, probabilmente dettati dallo stress.
Daniela Trezzi aveva 34 anni e faceva l’infermiera presso l’ospedale San Gerardo di Monza, si è uccisa dopo aver contratto il coronavirus mentre lavorava in reparto. Come lei, poco prima, a Jesolo un’altra infermiera di 49 anni aveva compiuto il medesimo gesto. In soli 10 giorni, a Pisa si sono registrati 4 casi di suicidio nelle case di riposo, dove oltre ai morti per coronavirus, tanti scelgono di porre fine alla propria vita. È accaduto anche a Monselice, dove 3 anziani si sono suicidati, forse per il terrore di morire contagiati, vista la presenza di positivi nella casa di riposo.
Il suicidio non arriva mai all’improvviso è sempre preceduto da piccoli disagi che possono trasformarsi via via in disturbi più importanti. L’ansia può scatenare attacchi di panico, si sentono murati in casa e l’angoscia li spingerebbe a uscire, a cercare qualcuno con cui parlare, senza la mediazione tecnologica del cellulare, di Skype o di qualche altra piattaforma. Si sentono abbandonati, traditi e temono proprio di non farcela. E di fatto non ce la fanno… Ci sono inoltre esplosioni di rabbia, legate all’astinenza, in soggetti con pluri-dipendenze, che non possono raggiungere la droga di cui fanno abitualmente uso. Diventano pericolosi perché vedono interrotto il loro accesso al consumo. Non a caso tra coloro che evadono dalla consegna che prevede per tutti forti e pesanti limiti alla propria libertà di movimento, ci sono molti tossicodipendenti. Un capitolo a parte è il tema della violenza di genere. Ci sono donne che stavano attraversando un lungo e doloroso processo di separazione, magari in una casa-famiglia, dopo aver chiesto aiuto alla legge. Ora che anche i processi sono fermi, si ritrovano a vivere forzatamente assieme al loro compagno, di cui ben conoscono e temono la violenza.
E il suicidio può arrivare, come la scorciatoia prevista per mettere fine alla loro sofferenza. Ma di loro si parla davvero troppo poco, mentre invece è giusto rendersi conto che si perde la vita anche così, per disperazione. Con il blocco totale di tutte le attività produttive rischiamo anche un incremento di suicidi legati alla perdita del lavoro con tutte le problematiche psicologiche che ne conseguono. Debbono preoccuparci l’aumento dei suicidi per la drammatica crisi economica e i licenziamenti che verranno. La perdita di lavoro come causa primaria di suicidio, e non come concausa, è un fenomeno noto e ben studiato. Ci vorrà la massima attenzione a cosa succederà quando molte aziende non riapriranno, e purtroppo saranno tante. Qualcuno cercherà un altro lavoro e lo troverà, ma molti probabilmente resteranno a lungo disoccupati. E nonostante la cassa integrazione e qualche altro sussidio, è facile cadere in depressione e c’è chi purtroppo tenterà il suicidio.
Per quanto riguarda la tendenza al suicidio, uno dei fattori scatenanti è la perdita delle aspettative future. Davanti alla incertezza globalizzata del domani, il suicidio è sempre in agguato. Dobbiamo ricordare che il suicidio è un evento multifattoriale. Il denominatore comune è la sofferenza mentale della persona che ha spesso subito sconfitte e umiliazioni di tanti tipi. Esasperare questa sofferenza, ingigantirla, diventa più facile se ci sono condizioni di segregazione come quelle imposte dalla quarantena. Basta pensare alle famiglie in cui ci sono persone con grave disabilità, oppure c’è un elevato livello di conflittualità; o ancora alle persone che soffrono di qualche disturbo mentale. Il loro disagio non può che aumentare e la paura e l’isolamento, potrebbero indurle a tentare il suicidio. E quando l’emergenza sarà passata, avremo a che fare con le ripercussioni economiche derivanti dall’aver fermato tutto il mondo produttivo. Questo fatto creerà una precarietà economica che avrà, per alcuni, un forte impatto.
Ma anche chi si è prodigato senza risparmiarsi è esposto a un alto rischio; è sufficiente ricordare il disturbo post traumatico da stress, che potrà colpire medici e infermieri. Anche per loro esiste il rischio suicidi. Hanno dovuto affrontare un numero altissimo di ore lavorate; sono tornati a casa la sera, ma senza poter nemmeno salutare, abbracciare i propri famigliari; hanno visto un gran numero di persone morte, sole, e hanno dovuto mantenere lontano i loro familiari, sapendo di aggiungere sofferenza a sofferenza. Col diminuire dell’emergenza dobbiamo occuparci di loro, proteggerle e non farle tornare subito al lavoro. Bisogna prevedere per loro un percorso di cura, che sia facilmente a disposizione. Bisogna intervenire appena finita la pandemia con l’implementazione dei servizi di sostegno psicologico, pensando anche a progetti ad hoc, che garantiscano anonimato e gratuità, dobbiamo investire anche su questo.
L’Organizzazione mondiale della sanità ha diffuso un vademecum intitolato “Gestire lo stress durante l’epidemia di coronavirus”, in cui sottolinea come durante una crisi sia normale sentirsi tristi, stressati, confusi, spaventati o arrabbiati. Invita a parlare con persone di cui ci si fida e dà una serie di consigli pratici da mettere in atto quotidianamente nella gestione della crisi.
1) Riconosci che la tua ansia è del tutto normale.
2) Creati delle distrazioni.
3) Trova nuovi canali per rimanere in contatto con i tuoi amici.
4) Concentrati su te stesso.
5) Esterna le tue emozioni.
«Non vi è salute se non c’è salute mentale», afferma l’Organizzazione mondiale della sanità. E in questo periodo di emergenza coronavirus, in cui le persone sono state chiamate alla responsabilità di non uscire, se non per mera necessità, è più che mai importante lottare contro i pregiudizi che accompagnano la sfera della salute mentale. Non tutti sono in grado di gestire lo stress psicologico e la paura creatasi, e la situazione attuale potrebbe portare a far peggiorare le condizioni patologiche pre-esistenti in pazienti già affetti da ansia, stress, depressione e altro.