Il 22 maggio scorso, il ceo della Mercedes Dieter Zetsche è andato in pensione e la rivale Bmw ha voluto rendergli omaggio con un video spiritoso. Nel filmato si vede un sosia di Zetsche che torna a casa a bordo di una Classe S Mercedes. Ma, il giorno dopo, dal garage esce con una Bmw i8roadster: “Finalmente libero” dice il video.



Che il competitor più importante si soffermi a salutare il giorno storico di un professionista che lascia il lavoro è un fatto singolare. Ma l’unicità di tale gesto, a parere di chi scrive, sta nella chiusura del video: “Grazie Dieter per così tanti anni di stimolante competizione”. Non sappiamo chi in Bmw ha pensato di fare una cosa del genere, forse il ceo, forse il direttore tecnico, chi lo sa… ma possiamo provare a descrivere la ragione di questa iniziativa. Qualcuno avrà naturalmente pensato alla trovata pubblicitaria. Ma davvero Bmw ha bisogno di trovate pubblicitarie di questo genere? Le ragioni sono altre.



Nel suo significato più autentico, l’economia è ciò che gli americani chiamano “human action”. L’azione umana non è sempre buona, ma a volte lo è. Il mercato è proprio il luogo dove riversiamo il nostro agire, i nostri talenti, le nostre speranze, i nostri errori. Ma di per sé, siamo quello che siamo, dentro e fuori il mercato. Non siamo angeli quando finiamo di lavorare e non siamo demoni quando lavoriamo. Vi sono aziende – eccome se vi sono – che, in quanto sistemi organizzati, incarnano valori e comportamenti ispirati dai loro fondatori, dai manager che ne sono alla guida. E che trovano corrispondenza nei lavoratori, perché – in fondo – tutti desiderano lavorare in un ambiente in cui alle persone è riconosciuta la giusta dignità e il giusto valore. Perché, in ultimo, di questo si tratta; laddove c’è cultura organizzativa, vi è alla base una consapevolezza importante: i lavoratori sono prima di tutto persone. Per restare in casa nostra, pensiamo ad esempio a cosa è stata la Olivetti.



La Germania è forse la regione occidentale in cui più è cresciuta l’organizzazione del lavoro unita a questa consapevolezza: si cresce dentro una relazione che riconosce valore all’altro, inteso come dipendente o datore di lavoro piuttosto che come concorrente. Anche noi, in Italia, spesso parliamo di modello tedesco, e con questo apprezziamo la loro cultura organizzativa e la loro capacità di “fare sistema” che in ultimo si esprime in politiche sociali e di sviluppo economico. È ciò che ha reso grande la Germania. L’Italia, Paese dalle tante virtù, è in questo più frammentata: vi sarà una ragione se il 40% delle imprese tedesche sono grandi e da noi solo il 2%.

In altri termini, è quello che ci piace chiamare “partecipazione al lavoro”. A ottobre 2015, in pieno Dieselgate, in occasione dell’assemblea più partecipata della storia della Volkswagen, il sindacato IG Metall – a Wolfsburg hanno oltre il 90% di iscritti – ha distribuito una maglietta con la scritta “un’azienda, una famiglia”. Anche questa è consapevolezza che l’impresa è un sistema organizzato, dove tutti hanno un ruolo e dove tutti sono importanti. Giovanni Paolo II, nella Centesimus Annus, scriveva che lo scopo dell’impresa “non è semplicemente la produzione del profitto, bensì l’esistenza stessa dell’impresa come comunità di uomini che, in diverso modo, perseguono il soddisfacimento dei loro fondamentali bisogni e costituiscono un particolare gruppo al servizio dell’intera società”. La Bmw ha voluto ringraziare Zetsche proprio per questo, perché nel suo lavoro ha servito la società e, quindi, la stessa Bmw che ne ha beneficiato di stimoli competitivi: non a caso, in giro per il mondo, la berlina più riconosciuta è proprio Mercedes… oltre ad Audi e Bmw.

Twitter: @sabella_thinkin