Ricordare la figura storica di Lucio Battisti nel traffico di celebrazioni che ha congestionato questo 2023: gli 80 anni dalla sua nascita, i 25 dalla prematura scomparsa, (da qualche giorno si è aggiunta un’altra data, il mezzo secolo dalla pubblicazione dell’album “Il nostro caro angelo”), con la fastidiosa retorica celebrativa, che pare sia inevitabile, insulse (eufemismo) beghe legali (e non solo) attraverso gli organi di informazione si sono risvegliate tra Mogol e la sig.ra Veronese, vedova Battisti, con il corollario di qualche altro parente alla ricerca di un quarto d’ora di celebrità, gettate in pasto al pubblico stranito.



Veramente un brutto spettacolo intorno alla memoria del “caro estinto”. Ma è mai possibile che le inevitabili miserie umane consumate in anni di rapporti strettissimi in nome dell’arte musicale e degli affetti familiari cannibalizzino e deturpino la bellezza che nell’immaginario collettivo le canzoni di Mogol-Battisti hanno testimoniato?



In poco meno di tre lustri queste canzoni sono entrate nel nostro quotidiano, hanno segnato in qualche modo la nostra formazione, non solo musicale. E così, proprio i 50 anni del “Nostro caro Angelo” ci danno l’occasione per smontare un luogo comune che perseguita la produzione discografica del binomio. Superare, cioè, il trito rituale della critica ufficiale, quella che in concomitanza alle pubblicazioni degli anni ’70, innalzava recinti insormontabili nel mondo cantautorale tra i cosiddetti “impegnati politicamente” e quelli che cantavano i sentimenti d’amore più semplici e umili, raccontando storie di amori e tradimenti in cui molti ascoltatori si riconoscevano.



Se fossimo più attenti, se volessimo “ascoltare” oltre che solo “sentire” ci accorgeremmo che nella parabola “mogolbattistiana” si intersecano la fotografia della realtà, di tutta la realtà, quella minima dei tradimenti, delle infedeltà ma anche quella delle travolgenti passioni carnali, e la realtà di una società in cambiamento, confusa nei nuovi diritti contro l’oppressione delle regole della cultura bigotta, un ecologismo ante litteram e una critica al consumismo che divora l’anima.

D’altronde, non è un mistero, che sia Battisti che Mogol respiravano quella “liberazione dei costumi” di stampo radical/libertario che cominciava a predominare nella cultura politica di quegli anni e tutti questi input si riversano in gran numero nei testi  de “Il nostro caro angelo”, sublimati dall’ansia di rinnovamento musicale costantemente testimoniata dal genio di Poggio Bustone. Un artista sempre alla ricerca della canzone perfetta, dell’arrangiamento curato nei minimi particolari, un accentratore geloso del risultato su disco, un vero caterpillar che continuerà  instancabile, fino a rompere il sodalizio con Mogol, per essere completamente libero dalle costrizioni della gabbia del testo, per uscire definitivamente, fino all’incomprensione, dalla forma canzone tradizionalmente intesa, affermando finalmente il pieno primato della musica, non più al servizio della parola.

“Il nostro caro angelo” è un discorso contro la chiesa! Il nostro caro angelo è l’ideale (…) voglio dire che l’ideale dell’uomo è distrutto man mano che vive perché è chiaro che chi vive con le ali viene ferito. Allora si mettono i remi in barca e si comincia a fare il discorso del compromesso. Qui c’è proprio il tentativo di difendere questo ideale: le ali bianche non servono più. L’uomo condannato dalla chiesa, visto come un peccatore, oscura sempre di più: è un discorso contro la chiesa fatto con mezzo milione di copie”.

È ciò che affermava Mogol ai tempi della pubblicazione dell’album, un lavoro che è lo zenit del messaggio nichilista nella sua scrittura. In questo disco i testi ai quali Battisti, consapevole o meno dei significati (vedremo più avanti), dava forma musicale, sono intrisi di una forte contestazione a tutte le convenzioni che la società in quegli anni ancora formalmente clericale, si stava affermando nella forza sempre più pervasiva culturale e politica del partito radicale e libertario di Pannella.

Il destino della “decrescita (in)felice” di una forma ecologica estrema, il cambiamento della morale nella vita di coppia (mesi dopo si affermò il referendum che introduceva nella legislazione italiana il divorzio), la denuncia del marketing pubblicitario sempre più invadente e subliminale. Insomma, lasciando perdere l’idiozia di chi considerava parafascista l’immagine dei “boschi di braccia tese” e quindi naturale seguito delle “discese ardite” e della foto di copertina dell’album precedente (“Il mio canto libero”), non si può non avvertire che i testi, pur seguendo narrazioni di vite puramente private documentassero il vento di cambiamento dell’intera società. Ma dobbiamo riconoscere al Mogol-pensiero un duplice percorso, quasi antitetico.

Non solo quello nichilista ma anzi, uno ricco di un retroterra religioso.

Nel 1971 scrive in collaborazione (ufficializzata anni più tardi) con Battisti “La folle corsa” (portata al Festival di Sanremo da Little Tony e La Formula Tre: ascoltandola in un demo molto partecipato da Battisti stesso, ci si sorprende nel riconoscere il testo come una vera e propria preghiera, una invocazione a Qualcuno, che l’interpretazione canora di Lucio, in forma quasi gospel, rende ancora più convincente.

Sempre in quell’anno, il lato B del 45 “La canzone del sole”, è “Anche per te”, scene di quotidianità osservate con misericordia da una voce narrante che scopertosi impotente davanti al dramma della solitudine umana si domanda a Chi affidarsi per consolare quelle vite.

In tempi più recenti , il 3 Dicembre 2022, in una intervista al quotidiano “Avvenire, Mogol confessa: “Prego tutte le mattine 15 / 20 minuti per tutti quelli che conosco, specie per gli ammalati e mi sento bene. E poi occorre accettare il nostro destino qualunque esso sia: questa è una prova di grande fede.” Aggiungendo di avere una corrispondenza epistolare con papa Francesco. Come sono distanti gli anni di quell’angelo dalle ali tarpate proprio dalla chiesa!

“Già nel “Nostro caro angelo” si avvertiva questa mia ironia verso il Lucio Battisti degli anni precedenti, questa demitizzazione, non per volontà suicida, non per autolesionismo, non per rinnegare ma semplicemente per preparare il terreno all’azzeramento di una personalità monumentale, per azzerarla prima e umanizzarla al massimo, farla partecipare alla vita degli altri, comunicare con gli altri per mezzo della musica (…) con cose vere dette in mezzo agli altri (…) solo uguali a tutti gli altri.” Questo, in cui Battisti parla in terza persona, è un brano della famosa intervista organizzata da Renato Marengo nel 1974 (quando stava per pubblicare “Anima Latina”) per “Ciao 2001”, iconico settimanale che in quegli anni era la “gazzetta” del rock nazionale e internazionale. Da queste parole si può intuire che i temi sociali nei testi di Mogol soddisfavano la “mission” della sua musica: “ In pratica, proprio perché mi sono sempre considerato “avanti” rispetto a tutto il resto, nella mia continua ricerca evolutiva era inevitabile che giungessi a conclusioni di rottura e al tempo stesso a premesse di un nuovo tipo di aperture considerando il momento di passaggio proprio in alcuni brani e situazioni “accennate” ne “Il nostro caro angelo”. Più chiaro di così!

In quegli anni magmatici, il musicista Battisti continuava nella ricerca compositiva, infrangendo anche lui le convenzioni e i formalismi nei territori sonori di sua competenza.

Lo testimoniano le jam session blues di “Amore non amore”, gli arrangiamenti essenziali de “Il nostro caro angelo” (dopo quelli ridondanti de “Il mio canto libero”), fino ad arrivare al capolavoro “prog” di “Anima latina”, nel quale già medita “lo strappo” dalla sottomissione della sua musica rispetto ai testi di Mogol.

Cosa che riuscirà ad ottenere 10 anni dopo. Ecco perché, il tentativo di ridurre in questi giorni la memoria di Battisti in caustiche querelle ci impedisce di approfondire sempre più quel fenomeno letterario  e musicale che è stata l’avventura artistica (ognuno per la propria parte) di Mogol-Battisti.

P.S.: L’autore di questo articolo consiglia per chi vuole conoscere ancor di più la stagione di Mogol Battisti nelle loro implicazioni culturali e sociali la lettura di questi libri: Renzo Stefanel  – “Ma c’è qualcosa che non scordo. Le parole di Mogol per la musica di Battisti. (Nuova edizione)  Indipendently published , 2020; Renato Marengo – “Parole di Lucio” Chinaski Edizioni, 2016.
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