Lo stop – almeno temporaneo – alle trattative fra Mef e UniCredit per il definitivo salvataggio di Mps fuori dal controllo statale è filtrato diciannove giorni dopo l’elezione di Enrico Letta a Siena, nelle suppletive per la Camera. (Per inciso ma non troppo: il seggio conquistato dal leader Pd era stato lasciato libero da Pier Carlo Padoan, ex ministro dell’Economia protagonista del salvataggio pubblico del Monte nel 2016, candidato nella città toscana nel 2018 e quindi chiamato un anno fa alla presidenza di UniCredit. Di questo sembra essersi dimenticato, per primo, l’editoriale della Stampa di ieri, che ha subito puntato il dito accusatorio della svolta contro Leonardo Del Vecchio e il “capitalismo italiano”, supposto insensibile agli interessi del Paese eccetera. Sembra essersi dimenticata, la Stampa, anche dei 5 miliardi regalati dal Governo Gentiloni a Intesa Sanpaolo appena quattro anni fa per “seppellire” le Popolari Venete. Con il robusto contorno dell’Opa su Ubi, ben alla larga dal “cratere Mps”).
Durante la campagna elettorale in una città Mps-dipendente dal 1472, Letta non ha mai fatto mistero della sua freddezza per il tavolo aperto a fine luglio dal Mef con UniCredit. “Non c’è solo quel piano”, ha ripetuto il leader Pd a poca distanza da Rocca Salimbeni una settimana prima del voto: che ha registrato un astensionismo record (65%), chiaro avvertimento a chiunque fosse chiamato a re-indossare i panni non del tutto comodi di “deputato di Siena”. Dopo almeno 70 anni di egemonia assoluta della sinistra italiana sul Monte nel dopoguerra.
Quale “altro piano” aveva – e ha ora a maggior ragione – in mente Letta? È possibile che stia suggerendo al Mef di togliere la crisi dal forno UniCredit per infilarlo in quello di BancoBpm. La finalità emergente sarebbe la creazione di un “terzo polo”, significativamente raccomandato negli ultimi giorni anche dal Ceo di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina (presumibilmente preoccupato anche dalle mosse di UniCredit e dei suoi azionisti Leonardo Del Vecchio e Francesco Gaetano Caltagirone, impegnati nella scalata di Mediobanca e Generali). BancoBpm (assieme a Ubi) era già stato sondato in passato per un’aggregazione con il Monte: che, tuttavia, continua a non presentare le premesse finanziarie solide che invece garantiva il tentativo di UniCredit.
Sembrano più forti le premesse – soprattutto politiche – di un altro “piano”: la costruzione di un polo bancario pubblico sotto il controllo della Cdp, allargato in ipotesi anche ad altre due banche in attesa di stabilizzazione: Popolare di Bari e Carige. Non per caso il Ceo in carica a Siena, Guido Bastianini, è stato nominato nel maggio 2020 dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, su endorsement di M5S. Nel curriculum di Bastianini spicca anche il ruolo recente di amministratore delegato di Carige: la Cassa di Genova, la città di Beppe Grillo.
Il “piano Cdp-Mps” non è affatto “copyright Letta”: è già sostanzialmente nero su bianco da più di tre anni, con ben altro patronaggio politico. Citiamo da pagina 13 del “contratto di governo” fra M5S e Lega del maggio 2018, co-firmato da Luigi Di Maio “capo politico di M5S” e Matteo Salvini “segretario federale della Lega”, entrambi candidati Premier alle elezioni del precedente 4 marzo e di lì a poco vicepremier di Giuseppe Conte-1.
“[…] con riferimento alla banca Monte dei Paschi, lo Stato azionista deve provvedere alla ridefinizione della mission e degli obiettivi dell’istituto di credito in un’ottica di servizio”. Poco prima si poteva leggere: “È necessario prevedere una ‘Banca’ per gli investimenti, lo sviluppo dell’economia e delle imprese italiane utilizzando le strutture e le risorse già esistenti. La ‘Banca’, regolata da un’apposita legge, deve usufruire di una esplicita e diretta garanzia dello Stato, con conseguente facilità di reperire risorse per attuare tutte le iniziative che intende intraprendere .Dovrà inoltre agire sotto la supervisione di un organismo di controllo pubblico nel quale siano presenti il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Ministero dello sviluppo economico”.
La “Banca” in questione – salvo smentite mai giunte né allora né dopo, tanto meno dal neo-onorevole Letta – era e resta la Cassa depositi e prestiti: controllata all’84% dal Mef e al 16% da una quarantina di Fondazioni bancarie. Una “variante” minore ha visto nel frattempo intervenire sulla Popolare di Bari in dissesto il Mediocredito centrale. Mcc – presieduto da Bernardo Mattarella – ha come “socio unico” Invitalia: Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa Spa, controllata interamente dal Mef. Di essa è tuttora Ceo Domenico Arcuri, già commissario straordinario per l’emergenza Covid designato dal Conte-2.
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