La crisi politica ha innescato un reality giudiziario addirittura doppio: comunque non imprevedibile e sempre di notevole significatività nell’odierna “democrazia materiale” italiana.

Il primo – quello “reale” –  è iniziato il giorno stesso in cui il premier Giuseppe Conte si è presentato alla Camera per la fiducia. Il 18 gennaio il Tribunale di Torino ha respinto – con immediato riflesso mediatico – un’istanza di legittimo impedimento presentata dal leader della Lega Matteo Salvini: motivata proprio dall’esigenza di essere presente a Roma durante il confronto parlamentare attorno al governo. Salvini si è poi presentato a Torino, una settimana dopo, il 25 gennaio: per rispondere di un’imputazione di vilipendio alla magistratura. Nel 2016, durante una manifestazione interna della Lega a Collegno, l’allora senatore di opposizione aveva definito i magistrati “una schifezza”: e questo gli era costato un’immediata azione penale da parte dell’allora procuratore capo di Torino, Armando Spataro, uno dei leader storici di Magistratura democratica.



In un reality parallelo e virtuale – sceneggiato dal libro-intervista “Il Sistema” firmato da Luca Palamara e Alessandro Sallusti, in libreria dallo scorso 26 gennaio  – Spataro è protagonista di una comparsata breve ma niente affatto banale. Palamara – ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati di recente radiato dall’ordine giudiziario per traffico interno di influenze – racconta di essere stato personalmente protagonista di uno “scambio” con Spataro. Nel 1998, ricorda Palamara, Spataro si candida per il Csm e scende in tour elettorale da Milano a Reggio Calabria: dove il giovane Palamara è pm al primo incarico. Già attivo nel gioco delle correnti interne, Palamara è allora vicino a Md (“ho subito notato che la maggior parte dei colleghi che contano erano iscritti alla corrente di sinistra”). Da quella posizione promette a Spataro il suo voto  e ne convoglia altri. Il magistrato allora sulla ribalta milanese – già allora noto sul fronte antimafia, nell’anti-terrorismo e per la collaborazione al pool di Mani Pulite – viene eletto al Csm: passo ulteriore di una carriera continuata poi sempre all’insegna di incarichi di grande prestigio. 



Poco tempo dopo è Palamara a dover pensare alla sua carriera: vuole trasferirsi a Roma, ma all’inizio tutte le nuove poltrone in Procura erano pre-assegnate ad altri. Fino a quando una telefonata personale di Spataro gli annuncia che “quel posto è tuo”. È così che a pagina 54 del libro Palamara ne approfitta per una delle tante sintesi enunciative della sua autodenuncia/autodifesa.  Aveva avuto la prova più tangibile della forza e dello stile del “leader più potente dei duri e puri della sinistra giudiziaria”. E aveva visto funzionare l’elementare regola-chiave del “Sistema” correntizio che governa il potere giudiziario “materiale”: “Io do una cosa a te, tu al momento opportuno darai una cosa. Una terza lezione dal suo personalissimo “caso Spataro” porta Palamara a lasciare Md (“corrente ideologica e non scalabile”) per crearne una “meno strutturata e più pragmatica”: sarà la centrista UniCost. trampolino di lancio, per il pm meno che quarantenne, verso la presidenza dell’Anm. Addirittura in asse con Magistratura Indipendente (la corrente più “a destra”). Ma senza mai tradire la regola castale del “Sistema giudiziario”:

Fu in base a quella che nel giugno 2015 vennero assegnate in contemporanea tre grandi Procure generali (Milano, Roma e Napoli). I tre capicorrente di Area, Unicost e Mi – racconta Palamara a Sallusti – risolsero in fretta un dossier apparentemente complesso: “Una a me, una a te, una a lui”. Con un plebiscito del Csm su tutti e tre i nominati. Fra questi c’era Giovanni Salvi: poi promosso dal Csm Procuratore generale della Cassazione (non prima – rammenta Palamara – di un pranzo riservato con lui). E Salvi è stato appena protagonista di un evento che è sembrato saldare i due reality.

Venerdì 29 – a crisi di governo formalmente aperta – si è tenuta l’inaugurazione dell’Anno giudiziario presso la più alta corte ordinaria, alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, guida istituzionale del Csm. A Salvi (fratello di un dirigente storico del Pci-Pds) è toccata la consueta relazione tecnica sullo stato della criminalità in Italia. È stato invece il primo presidente della Cassazione, Pietro Curzio, a lanciare un appello politico al  ministro uscente della Giustizia Adriano Bonafede per “riformare urgentemente la giustizia” dopo un 2020 certamente “orribile” (Bonafede avrebbe dovuto leggere mercoledì 27 alle Camere la sua relazione annuale sullo stato della giustizia in Italia, ma l’esecutivo si è dimesso anche per il rischio di non vederla approvata). Occorre comunque una “rifondazione morale”, ha riconosciuto il vicepresidente laico del Csm, David Ermini: eletto nel 2018 nelle liste Pd ma considerato vicino a Matteo Renzi. È stato Ermini – alla guida del Csm con Palamara – a guidare il procedimento di radiazione. 

La giornata di venerdì – culminata con l’incarico esplorativo al presidente della Camera, Roberto Fico (M5S) – ha registrato due episodi di cronaca politico-giudiziaria che non sembra improprio ricomprendere nel reality-1. Il primo è stata la scarcerazione per motivi di salute di Denis Verdini: l’ex senatore Fi – vicinissimo a Silvio Berlusconi, anche dopo aver pilotato una pattuglia di “responsabili” del centrodestra a supporto dei  governi Renzi e Gentiloni – aveva appena iniziato a scontare una pesante condanna per un crack bancario. Nelle stesse ore in cui Verdini ha lasciato Rebibbia, il tribunale di Roma ha invece condannato in primo grado a 10 mesi il generale Tullio Del Sette, ex comandante generale dei Carabinieri. Era accusato di rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento nel caso Consip: le presunte manovre del cosiddetto “cerchio magico” di Renzi per proteggersi dall’attivismo della Procura di Napoli nell’indagare la gestione dei grandi appalti statali. È un’inchiesta che ha toccato direttamente Luca Lotti: ex sottosegretario di Renzi a Palazzo Chigi, ma anche commensale di Palamara – assieme all’ex sottosegretario alla giustizia Pd, il magistrato Cosimo Ferri – in una cena tenutasi in un hotel romano nella primavera 2019. Le  intercettazioni via trojan ordinate dalla Procura di Perugia hanno dato origine al vero e proprio “caso Palamara”, culminato nella cacciata del magistrato: che nel libro- reality 2 – respinge il ruolo di capro espiatorio, ma senza rinnegare nulla o quasi del suo ruolo nel “Sistema”.

Nel reality-1, intanto, sempre il 18 gennaio – alla vigilia della debolissima fiducia conquistata inizialmente dal Conte-2 al Senato – la Procura di Milano ha citato direttamente in giudizio lo stesso Salvini per diffamazione nei confronti di Carola Rackete: la celebre “capitana” tedesca di una nave Ong, protagonista dello speronamento di Lampedusa, aperta violazione degli ordini dati dal vicepremier Salvini nel giugno 2019. Il parallelo reality-2 riserva alla vicenda di Lampedusa un intero capitolo “La ferocia e l’inganno / Salvini e le due magistrature” (e in parte anche “Miracolo a Milano”, sulle mosse dei procuratori capi Edmondo Bruti Liberati e Francesco Greco, entrambi di Md, entrambi in contatto con Palamara). Le pagine si concentrano sulle mosse del procuratore capo di Agrigento Luigi Patronaggio, che fin dal 2018 aveva messo sotto inchiesta sistematica tutte le azioni anti-sbarchi del ministro dell’Interno. Palamara è netto nel parlare di “doppia giustizia”: quella di Patronaggio alle calcagna di Salvini (con messaggi di sostegno dallo stesso Palamara) e quella espressa da un collega di Patronaggio, il procuratore di Viterbo, Paolo Auriemma. Il quale scrive a Palamara: “Non vedo veramente dove Salvini stia sbagliando”. Risposta: “Hai ragione, ma ora bisogna attaccarlo”.

Lo stesso reality-1 va in escalation nell’arco di ore: all’altro capo della penisola rispetto a Milano. Il 21 gennaio procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, lancia un’operazione anti-ndrangheta e indaga il leader Udc Lorenzo Cesa che si sta mettendo al lavoro per formare un gruppo di parlamentari “responsabili” a puntello del Conte-2. In un’intervista al Corriere della Sera, Gratteri respinge le nuove illazioni di “giustizia a orologeria”, ma risponde in modo controverso a una domanda sul gap frequente fra arresti iniziali e condanne finali nelle sue inchieste sulle collusioni fra politica e criminalità organizzata. Anche se nei giorni successivi Gratteri rettifica i possibili dubbi, il suo appello al “giudizio della storia” sembra allungare ombre sull’indipendenza dei giudici. Il procuratore di Catanzaro – in ogni caso – resta il ministro della Giustizia che Renzi ha provato a imporre nel 2014 per il suo primo governo fin dentro le stanze del Quirinale (Palamara nel libro ci si sofferma a lungo). E mentre la Calabria attende elezioni regionali anticipate, Gratteri rimane uno dei protagonisti delle vicende passate di Luigi De Magistris: pm in Calabria, clamorosamente rimosso dal Csm per il “caso Mastella” e poi sindaco di Napoli. Ora uscente: forse candidato governatore in Calabria. Nessun stupore che il ministro Bonafede abbia scelto, sabato, di presenziare personalmente all’apertura dell’Anno giudiziario a Catanzaro. Reality 1 o 2?

E a quale show politico-mediatico-giudiziario è più corretto ascrivere l’interrogatorio dello stesso premier Conte – appena dimesso, giovedì 28  – da parte del Gup di Catania, Nunzio Sarpietro per il “caso Gregoretti”? Appena uscito da Palazzo Chigi il magistrato non si è in ogni caso trattenuto da un augurio pubblico al premier: “Non me ne voglia Salvini ma gli auguro il ter”. Nelle stesse ore – immediatamente dopo l’apertura della crisi di governo  e durante le prime consultazioni al Quirinale – è calato a Roma anche il pool della Procura di Bergamo al lavoro sulle eventuali responsabilità nella prima fase della pandemia nel “cratere” orobico. Hanno torchiato per cinque ore il ministro della salute Roberto Speranza e poi anche i vertici di Cts e Protezione Civile.

Questo articolo è certamente troppo lungo: ma allo stesso tempo è largamente lacunoso e incompleto (come del resto lo è la lunga intervista “di parte” rilasciata da Palamara). Rimane tuttavia fin d’ora la curiosità di osservare nei prossimi giorni e puntate in arrivo di un “doppio reality”  in fondo più preoccupante che appassionante.