L’obiettivo dell’Azerbaijan è ripulire della presenza armena gli ultimi 3-4mila kmq che ancora resistono alla sua sovranità. Per questo hanno chiuso il gasdotto e da un mese impediscono militarmente qualsiasi rifornimento alimentare ai 120.000 abitanti della Repubblica di Artsakh.
In teoria il corridoio di Lachın – e dunque il rifornimento – dovrebbe essere protetto e garantito dalla 15esima Brigata di fanteria motorizzata dell’Esercito russo, in base agli accordi di pace del 2020, ma i soldati di Putin sembrerebbero impotenti di fronte a un’azione di forza dei militari di Baku, travestiti da sedicenti e improbabili attivisti per l’ambiente, che bloccano l’unica strada che collega l’Armenia all’Artsakh.
I negozi sono vuoti da tempo a Stepanakert e siamo in presenza di una tragedia umanitaria per una popolazione che non si può alimentare e riscaldare e nemmeno trasferire i malati più gravi nell’ospedale della capitale armena.
Eppure un fragoroso silenzio della comunità internazionale accompagna questo disastro. Persino i media ignorano la vicenda. L’unica voce levatasi è stata quella del Papa nell’Angelus del 18 dicembre e a Natale, a cui si è aggiunto un manipolo di intellettuali francesi su Le Figaro.
La ragione di questa silente complicità appare essere tutta geopolitica. L’Azerbaijan è forte dell’alleanza con Turchia e Israele, a cui vende petrolio a copertura di un terzo del suo fabbisogno energetico e a cui fornisce logistica di spionaggio sull’Iran. L’Unione Europea, che pure a ottobre aveva deciso di mandare inviati alla frontiera armena per favorire un piano definitivo di pace, preferisce non disturbare il governo di Aliyev con cui ha appena stretto accordi per una fornitura di 12 miliardi di metri cubi di gas a sostituzione di quello russo. Peccato che nel frattempo gli azeri abbiano stretto la mano a Gazprom per importare 1 miliardo di metri cubi di gas russo per poter onorare il contratto con l’Unione Europea, con tante grazie di Putin che aggira così l’embargo occidentale.
Tra tutti questi interessi chi resta stritolata è proprio la popolazione armena dell’Artsakh, vittima sacrificale di un possibile accordo finale che cancellerebbe l’indipendenza di quella Repubblica e – in cambio della sopravvivenza di un minimo di autonomia e del ripristino del varco di Lachın – costringerebbe il governo armeno ad aprire un analogo corridoio nel sud presso Meghri per consentire alla exclave dell’Azerbaijan – il Nakhchıvan – di commerciare via terra con la madre patria senza dover più passare per l’Iran. Ma nulla garantisce che, un secolo dopo il genocidio armeno, l’obbiettivo finale non sia l’Artsakh ma la stessa Armenia!
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