Si è conclusa settimana scorsa con una grande festa l’attività di una delle più originali associazioni, che nella città di Milano operano a sostegno dei pazienti con disturbo psichico, denominata “Diversamente”. L’associazione non è certo unica nel suo genere, ma sicuramente essa è un’outsider nel tipo di approccio alla salute mentale. Essa si distingue nel panorama di enti, gruppi e associazioni che operano nel settore, per la rara capacità di sostenere le famiglie che vivono il disagio psichico, peraltro mettendole poi “in alleanza”- in dialogo costruttivo – con le strutture pubbliche: dal Cps al Cd (Centro diurno), al Cpdc (diagnosi e cura), al Cra, alla Cp (Comunità protetta).



La situazione sulla salute mentale a Milano è drammatica; se solo si guardano i numeri relativi ai servizi siamo davanti – senza essere pessimisti – a un’obiettiva dêbacle. Solo il 10% dei pazienti sono presi in carico dalle strutture pubbliche. Il resto dei pazienti è abbandonato a se stesso, con tutto ciò che questo significa in termini di ricadute negative sulle famiglie e sul piano sociale.



Che su un’ampia fascia di popolazione che soffre di disturbi psichici (schizofrenia, di personalità, da abuso di sostanze, di ritardo mentale…) solo una percentuale irrisoria viene presa in cura dalle strutture pubbliche (Cps, Cra…) è una realtà riconosciuta da chi opera nel settore: la malattia mentale ancora oggi rappresenta una sorta di tabù, per lo stigma nell’opinione pubblica e per le famiglie stesse, per le quali avere uno dei propri membri che “si ammala” è una cosa di cui vergognarsi.

Certo, la situazione sulla tutela della salute mentale milanese spicca per i dati che presenta, ma la situazione è comunque grave anche nel resto del paese. In Italia sono 17 milioni le persone che soffrono di disturbi psichici e secondo l’Oms (dati 2018) questo tipo di malattia è destinata a superare le patologie di tipo cardiovascolare al primo posto oggi nel mondo. Non si deve pensare che in Europa si stia meglio, dato che il 38% della popolazione in media soffre di una malattia mentale.



Secondo dati Istat 2018, Milano detiene il primato nazionale per uso di psicofarmaci. Su una media nazionale di vendita di 6.841 confezioni al mese, a Milano e provincia la quota media mensile sale a 8.504 confezioni (circa 1.700 in più). Si tratta di ansiolitici, antipsicotici, antidepressivi… A Milano la parte del leone nella vendita di questo tipo di medicinali comunque la fanno i sonniferi (58%). Quando si impazzisce si comincia a non dormire… E in questo panorama di nazioni depresse l’Italia è al 20° posto in Europa per la spesa dovuta alla malattia mentale (dati Oms).

Tornando alla nostra situazione di abbandono sul trattamento dei disturbi psichici, nella mentalità generale si è arrivati al punto che addirittura (sic) è invalsa la logica assurda di considerare miglioramento o progresso nella “cura” della malattia il minor numero di ricoveri collezionati. E certo che se alla fin fine tutto è affidato o, meglio, viene “scaricato” sul solo ricovero nei reparti di psichiatria degli ospedali, è logico che si arrivi a pensare a questa “assurdità”, cioè che fare “meno ricoveri” sia “fare” progressi, anziché avviare effettivi percorsi terapeutici. Sarebbe lo stesso che dire: subire meno Tso – Trattamento sanitario obbligatorio (che scatta quando il paziente “va fuori di matto”) – sarebbe un progredire, un migliorare.

Si può ben parlare, dunque, di emergenza psichiatrica. Nello stato di abbandono “sommerso” in cui versano singoli e famiglie si può sostenere che siamo di fronte a una progressiva farmacologizzazione e cronicizzazione dei pazienti psichiatrici, che sono oggi le nuove camicie di forza dei vecchi manicomi. Il problema, poi, è di una gravità sconcertante se si pensa che il grosso della popolazione colpita da disturbo di tipo psichiatrico oscilla in un range d’età che va dai 15 ai 29 anni, cioè sono i giovani. Dal rapporto dell’Oms si viene a sapere che la metà di tutte le malattie mentali inizia all’età di 14 anni, ma nella maggior parte dei casi non viene rilevata o viene sottovalutata.

In tale contesto brillano l’assenza e l’irresponsabilità della politica e ciò la dice lunga sulla sua lontananza dai problemi reali della gente, e perciò dal bene comune. Infine, come sempre, se non fosse per la libera e generosa iniziativa di persone e associazioni che, senza aspettare i responsabili politici, pensano loro a prendere in carico famiglie e persone, muovendosi in autonomia e con intelligenza (come fa Diversamente), ci troveremmo con un tessuto sociale ancor più disgregato e un numero maggiore di casi disperati. Il bisogno della presa in carico è numericamente così diffuso che per paradosso si può affermare che i risultati conseguiti dalle associazioni in alleanza con il “pubblico”, siano miracoli “veri” o isole di speranza “vera”.

L’ affronto solidale tra famiglie porta non solo ad accettare la patologia psichica del proprio congiunto, ma a saperci convivere in termini terapeutici e realistici, così da trasformare la propria qualità di vita. Famiglie che si mettono in discussione e si aprono alla condivisione del loro problema e che per di più si lasciano guidare e sostenere da operatori capaci significa assistere a un evento di umanità nuova, un rifiorire umanissimo e commovente pur dentro la sofferenza e il dolore. Veder rifiorire genitori con figli adolescenti o non più giovani dopo aver vissuto disperazione, impotenza e solitudine, è trovarsi di fronte a persone tornate a stupirsi della vita, tornate a un vivere più intenso e vibrante da cui pensavano di esser stati tagliati fuori per sempre.

La malattia mentale, anziché allo stigma sociale, dovrebbe far pensare soprattutto al grande mistero che abita l’uomo. Nessuna patologia, infatti, più dei disturbi psichici ci parla del suo mistero, proprio perché la malattia mentale insorge dal nucleo più originario in cui l’uomo consiste e cioè il suo io. Essa ha che fare con quel grido a cui Camus già nel suo Caligola dava voce: «Questo mondo, così com’è, non è sopportabile. Perciò ho bisogno della luna, o della felicità, o della immortalità: di qualche cosa, poniamo, di pazzesco, purché non sia di questo mondo» (atto I, scena IV).