È di qualche giorno fa la costituzione del primo sindacato all’interno di Google. La notizia è apparsa sui principali quotidiani destando molto stupore soprattutto perché associata alla multinazionale della Silicon Valley, notoriamente e storicamente allergica a ogni forma di organizzazione dei lavoratori. In passato l’azienda era riuscita a ostacolare attivamente ogni tentativo di costruzione di una rappresentanza sindacale: dal trasferimento in altri Stati delle unità produttive con la maggiore concentrazione di lavoratori sindacalmente attivi, alla sperimentazione della figura del “garante etico”, con la finalità di mantenere un dialogo diretto, e non intermediato, con i dipendenti.



Al di là della matrice e delle caratteristiche di Alphabet Workers Union (questo il nome del sindacato della casa madre di Google), vorrei prendere spunto da questa notizia per una riflessione sul tema della rappresentanza sindacale. Il primo dato evidente e storicamente incontrovertibile, testimoniato da questo fatto, così come da tanti altri (piccoli o grandi che siano), è che il bisogno per gli uomini del lavoro di condividere e possibilmente migliorare la propria condizione, non verrà mai meno. Questo bisogno di “mettersi insieme” proprio dell’uomo come soggetto relazionale, potrebbe essere temporaneamente assopito, quasi atrofizzato perché le persone potrebbero essere affascinate da false speranze o da “idoli” del momento, che però nel tempo, rivelano tutta la loro illusione. Nel tempo anche l’ottima retribuzione, il riconoscimento professionale e la carriera non bastano più. Riemerge il bisogno di essere protagonisti, di partecipare e condividere concretamente lo scopo del lavoro che si sta facendo.



Non serve comunque andare alla Silicon Valley per vedere esperienze di una rinnovata partecipazione sindacale. Anche in Italia, dentro gli stabilimenti del grande colosso dell’e-commerce di Amazon si sta sviluppando la rappresentanza sindacale, addirittura tra i lavoratori temporanei, ovvero tra coloro che hanno un contratto in somministrazione a tempo determinato. La cosa più interessante è vedere il percorso della rappresentanza, simile a una goccia cinese, che giorno dopo giorno apre un pertugio nella coscienza e nella consapevolezza delle persone. Non che nel tempo si diventi più insensibili ai rischi e alle ripercussioni che determinate scelte possono avere sul proprio futuro occupazionale (siamo tutti consapevoli che se hai un contratto di 3 mesi e ti iscrivi al sindacato, la possibilità che quel rapporto di lavoro non venga rinnovato è molto alta, anche nel 2021), ma si percepisce che quel fastidio molto ragionevole chiamato giustizia resterà solo un buon sentimento se nessuno si mette in gioco in prima persona.



Qui, a questo livello, interviene la questione sindacale, per dirla in volgare, entrano in gioco “i sindacati”. Perché un’originale organizzazione sindacale (cioè fortemente ancorata alla sua missione costitutiva) deve sostenere il protagonismo, la voglia di partecipazione e condivisione che anima ciascun lavoratore. Probabilmente uno degli errori del sindacato è stato quello di aver messo in secondo piano la dimensione associativa e partecipativa. 

Una moderna rappresentanza sindacale oggi non può che poggiare su due pilastri fondamentali: contrattazione e servizi. La contrattazione in quanto espressione e riconoscimento di una soggettività (organizzata) che determina le condizioni di lavoro. Questo aspetto costituisce il primo fattore di superamento della precarietà, in quanto quel rapporto di lavoro non è definito (nei suoi diversi aspetti, da quelli economici e a quelli normativi) unilateralmente dal datore di lavoro, ma viene contemplato un esercizio di partecipazione anche dei lavoratori, che assumono una responsabilità e un protagonismo nel negoziare e quindi nel “dire la loro” sul proprio lavoro. 

Il secondo pilastro riguarda i servizi. Questo perché i bisogni delle persone sono molto frammentati, particolari e lo saranno sempre di più. Il grande compito di un sindacato che risponde ai bisogni delle persone non deve limitarsi a erogare dei servizi in modo efficace ed efficiente, ma deve essere occasione per generare una dinamica associativa tra le persone: fare una domanda di disoccupazione, di pensione, di invalidità ha un valore molto più grande della singola richiesta, vuol dire accompagnare le persone nelle loro paure e fragilità.

La nascita del sindacato alla Silicon Valley testimonia quindi come il bisogno di condividere, dai bisogni, alle condizioni contrattuali, fino ad arrivare anche al senso e scopo del lavoro che facciamo, non morirà mai, ma prima o poi ritornerà sempre.

Leggi anche

SINDACATI vs IMPRESE/ Se Cgil, Cisl e Uil non si sono (ancora) accorti della crisiSINDACATI E POLITICA/ Così il Recovery può aiutare l'occupazione in ItaliaAMAZON USA, NO AL SINDACATO/ La sfida della rappresentanza nel capitalismo Big Tech