Negli Stati Uniti manca il latte in polvere per neonati. A novembre si erano verificati i primi rallentamenti nell’approvvigionamento, principalmente a causa della pandemia. Ma a febbraio la situazione è precipitata. E sembra aver raggiunto in queste ultime settimane il suo apice. Un grave caso di contaminazione presso la Abbott Nutrition, tra i maggiori produttori americani, aveva infatti causato due decessi lo scorso inverno, portando alla chiusura del più grande stabilimento dell’azienda. Negli Stati Uniti, inoltre, dove il mercato del baby formula è per il 90% in mano a solo quattro marchi, tra cui la Abbott, le importazioni di latte in polvere sono pressoché nulle, visto che i dazi mettono fuori mercato i prodotti stranieri. Si è presto scatenato il panico tra le famiglie, tanto che c’è chi sarebbe andato in Messico per rifornirsi. Ma a pagare maggiormente le conseguenze di tali carenze sono i nuclei a basso reddito, che non hanno le risorse economiche per permettersi simili viaggi a lunga distanza o prodotti a prezzo rialzato. Vediamo in maggiore dettaglio quanto sta succedendo oltreoceano.
La disponibilità a scaffale
I primi vuoti a scaffale si sono verificati lo scorso novembre. La situazione, però, è precipitata in pochi mesi. In particolare, i dati del Barometro Osa (on-shelf availability) di NielsenIQ sulla disponibilità a scaffale mostrano che, alla fine di aprile, la percentuale di merce in vendita era scesa a 81,2% contro l’89,9% nel 2021. In Stati come Iowa, West Virginia, Louisiana e Kentucky la disponibilità a scaffale ha raggiunto picchi negativi inferiori all’80%. Contro un tasso Osa che, per i prodotti confezionati di largo consumo, tocca in media il 93,3%. Non solo, quest’anno sono necessari cinque giorni e mezzo per risolvere una rottura di stock. E ogni settimana, in media, il mercato ‘perde’ 9,3 milioni di dollari per la mancata vendita di prodotto.
Le ragioni della carenza
La principale causa dell’attuale carenza di latte in polvere per l’infanzia è legata alla chiusura dello stabilimento di Sturgis, in Michigan, della Abbott Nutrition, uno dei quattro principali produttori nel Paese. A febbraio, infatti, quattro neonati, che avevano assunto latte proveniente dallo stabilimento in questione, hanno contratto infezioni batteriche, che hanno causato il decesso di due di loro. Il settore del baby formula, però, già accusava problemi alla catena di approvvigionamento legati alla pandemia. La chiusura dell’impianto in Michigan non ha fatto altro che esacerbare la situazione.
Un mercato per pochi
Negli Stati Uniti, la produzione di latte in polvere per l’infanzia è un affare per pochi. Si può parlare dell’esistenza di un vero e proprio monopolio, il 90% della produzione è infatti nelle mani di quattro grandi aziende: Abbott Nutrition, Reckitt Benckiser (attraverso la filiale indipendente della Mead Johnson Nutrition), Nestlé Usa e Perrigo. La Abbott, però, è responsabile di circa metà della produzione americana. Inoltre, solo il 2% del latte in polvere disponibile negli Stati Uniti è importato. Da una parte a causa delle stringenti regole stabilite dalla Fda, dall’altra per via degli elevati dazi a cui è sottoposta questa tipologia di prodotto. Le tariffe più favorevoli spaziano dal 14,9% al 17,5% ma, a seconda delle quantità importate e della tipologia, il dazio si fa più pesante. In maggiore dettaglio, tra il 2012 e il 2021, gli Stati Uniti hanno prodotto 524 milioni di chilogrammi di infant formula all’anno. Di questi, 33,5 milioni di chilogrammi venivano mediamente esportati. Il Paese ne importava invece solo 3,2 milioni. I dati sono del Congressional Research Service, centro di ricerca del Congresso americano, che ha mostrato, però, che i volumi importati sono andati aumentando dal 2012 al 2021.
I provvedimenti del governo
Per tamponare l’emergenza, la Camera ha varato due leggi: la prima per consentire l’accesso ai diversi tipi di latte in polvere a donne e bambini delle fasce più povere e per obbligare i produttori a dotarsi di piani di emergenza in caso di ritiro di merce dal mercato; la seconda per assegnare finanziamenti alla Food and Drug Administration, l’ente statale che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, per assumere personale dedicato ai controlli e ritirare eventuali prodotti contraffatti. La Casa Bianca, intanto, ha lanciato l’operazione ‘Fly formula’, chiedendo al Pentagono di organizzare un ponte aereo per importare da oltre oceano latte in polvere.
Biden ha inoltre invocato il Defensive Production Act per accelerarne la produzione. La Fda, in particolare, sta lavorando da alcuni mesi con Nutricia, marchio del gruppo Danone, per aumentare la produzione del suo latte in polvere. E ha accordato l’invio dall’Europa di 500mila latte di formula medica specifica, che verrà distribuita attraverso ospedali, operatori sanitari, farmacie, distributori di prodotti per la salute e tramite il programma speciale di assistenza federale per la nutrizione supplementare dedicato a donne, neonati e bambini. L’ente ha inoltre assicurato che non avrebbe ostacolato l’importazione di prodotti destinati a mercati terzi o la distribuzione di referenze realizzate negli Stati Uniti per l’estero.
L’accordo di Abbott con la Fda
Lo scorso 16 maggio, la Abbott ha raggiunto un accordo con la Fda per la riapertura dell’impianto di produzione in Michigan. L’azienda dovrà però consentire a esperti esterni di compiere analisi presso lo stabilimento affinché sia conforme a tutte le necessarie norme di sicurezza alimentare. La produzione è dunque ufficialmente ripartita. Ci vorranno settimane, però, prima che gli scaffali tornino a riempirsi completamente. Intanto, oltreoceano, si fanno pressanti le voci di chi chiede di cambiare norme e regolamentazioni, che di fatto proteggono i quattro grandi produttori, impedendo ad altri di sbarcare in questo mercato.