Insinuare anche un solo dubbio nonostante la verità processuale: è ciò che stanno cercando di fare i mass media in questi anni con i casi di cronaca nera che hanno maggiormente colpito l’opinione pubblica. L’ultimo ad alimentare questo fenomeno è l’omicidio di Yara Gambirasio, al centro della docu-serie “Il caso Yara – Oltre ogni ragionevole dubbio” uscita su Netflix. Nella prima parte Massimo Bossetti, condannato in via definitiva all’ergastolo, viene dipinto come un mostro, seguendo anche il racconto dei media, nella seconda invece si prova a distruggere ogni certezza, insinuando dubbi sulla colpevolezza dell’uomo e sollevando piste alternative che non sarebbero state prese in considerazione dagli inquirenti o sarebbero state mal approfondite. Il risultato è che anziché avere una docu-serie sul caso Yara Gambirasio ne esce una sul caso Massimo, di cui emerge l’immagine del possibile innocente costretto in carcere senza motivo, se non per quello di incriminare in fretta e furia qualcuno per liquidare la questione. Nella seconda parte, in cui è protagonista Bossetti con la sua intervista dal carcere (così pure quella della moglie Marita Comi), c’è poi il tentativo di suscitare una sorta di empatia nei suoi confronti, non solo perché sarebbe in cella da innocente, ma anche perché scopre il padre biologico è un’altra persona, la moglie lo avrebbe tradito e gli inquirenti lo pressano per farlo confessare, cosa che comunque non ha mai fatto. Di fatto, è un altro caso in cui la vittima passa in secondo piano, il protagonista è l’assassino, che viene “umanizzato”, si prova a picconare la verità giudiziaria, sollevando questioni, sostenute dalla difesa e dalla corrente innocentista di giornalisti e opinionisti, che sono spiegate proprio nelle carte processuali. Si arriva anche a criticare la scelta dei genitori della vittima (lo fa Bossetti, ndr) di non presenziare a tutte le udienze del processo. Il rischio è che questa docu-serie possa alimentare ulteriormente il complottismo, mentre il mirino si sposta sulla pm Letizia Ruggeri, accusata di frode in processo e depistaggio, accuse per le quali la procura di Venezia ha chiesto l’archiviazione.
Si parte dalla scomparsa della tredicenne, dal racconto di quei giorni, settimane e mesi di angoscia e sofferenza della famiglia, che culminano col dolore per il ritrovamento del corpo senza vita a 10 chilometri dalla sua Brembate di Sopra: inizialmente si ha la sensazione di poter sul caso relativo all’omicidio di Yara Gambisario avere una ricostruzione bilanciata tra lo strazio della famiglia e l’evoluzione delle indagini, alla base delle tesi della procura di Bergamo, e la versione della difesa. Questa sensazione, però, si dissolve quando vengono proposti gli elementi in base a cui la difesa ritiene non ci possa essere una condanna “oltre ogni ragionevole dubbio” per l’ex muratore di Mapello, senza che venga contrapposto quanto emerso in tutti e tre i gradi di giudizio.
OMICIDIO YARA GAMBIRASIO, I TRE GRADI DI GIUDIZIO COMPLETAMENTE IGNORATI
In effetti, la verità processuale è la grande assente della docu-serie sul caso Yara Gambirasio, un’assenza clamorosa, perché anche se non necessariamente corrisponde alla verità in senso assoluto, è di fatto ciò che può essere accertato proprio “al di là di ogni ragionevole dubbio”. La sentenza della Cassazione, che ha reso definitiva la condanna all’ergastolo di Massimo Bossetti, ha smontato tutte le obiezioni della difesa, a partire dalla “pistola fumante”, il profilo genetico di “Ignoto 1”, individuato sulle mutandine della vittima: appartiene senza alcuna ombra di dubbio a Bossetti. Una “prova piena” per la prima sezione penale della Suprema Corte, che nelle 155 pagine di motivazioni della sentenza ha riportato che la probabilità di trovare un’altra persona con lo stesso profilo genotipico è una ogni 3.700 miliardi di miliardi di miliardi di persone. Se per individuare l’identità di un soggetto sono sufficienti 15 marcatori, nella fattispecie il profilo genetico era stato confermato da 24 marcatori.
Aveva poi inserito tra le “idee fantasiose prive di qualsiasi supporto scientifico e aggancio con la realtà” l’ipotesi della creazione in laboratorio del Dna dell’imputato, di cui non si fa alcun riferimento nella docu-serie, dove invece viene ben ricostruita la vicenda di “Ignoto 1”, ma che per la Cassazione è “manifestamente illogica”, anche perché come si potevano contaminare i reperti prelevati nel 2011 col profilo di Bossetti che era stato acquisito tre anni dopo? Ancora più fantasiosa fu definitiva l’ipotesi di una contaminazione volontaria di terzi prima del ritrovamento della vittima.
IL CLAMORE MEDIATICO E LE BALLE DI “FAVOLA”
Nella docu-serie “Il caso Yara – Oltre ogni ragionevole dubbio” si punta il dito contro il clamore mediatico che ha suscitato l’omicidio di Yara Gambirasio, con la tesi che l’opinione pubblica sia stata influenzata, sollevando dubbi sul diritto a un processo equo. Ma su questo i giudici si sono espressi confermando l’attenzione dei media, “senza peraltro in alcun modo influenzare la regolarità e serenità del processo giudiziario”, ma anche definendo “singolare e paradossale che la difesa e l’imputato, dopo avere specificamente fatto riferimento alla necessità ‘di chiudere i giornali, cli spegnere la TV, di abbandonare il web ed aprire i codici e la Costituzione’, abbiano dato il loro consenso, unici tra le parti processuali, alla ripresa audio e televisiva del processo di secondo grado, in seguito non autorizzata dalla Corte”. Decisione, peraltro, contestata nella stessa docuserie dalla difesa.
A proposito del clamore mediatico lamentato dalla difesa, c’è un colloquio tra Bossetti e la moglie in cui ne parlano, soffermandosi anche sui “vantaggi economici che ne possono ritrarre con memoriali ed interviste ben pagate”. Viene anche segnalato l’atteggiamento psicologico dell’uomo, che non è quello “di colui che è disperato e che continua a protestare la sua innocenza, ma è quello, abbastanza insolito per chi si trova in carcere con accuse così infamanti, di chi cerca di gestire a suo vantaggio, con grande normalità, lucidità ed indifferenza, il clamore mediatico sorto dalla vicenda”. Eppure, non ve n’è traccia nella docu-serie, in cui le “balle” raccontate ai colleghi, che lo chiamavano “Favola” vengono giustificate perché così l’uomo poteva effettuare altri lavori. In realtà, alcuni colleghi avevano riferito anche che aveva parlato loro anche di “gravi problemi coniugali, di essere stato denunciato dalla moglie per maltrattamenti”. La stessa Marita Comi gli faceva notare che avrebbe potuto raccontare bugie su quanto accaduto quel giorno. Non è un caso se i giudici lo definiscono un “incorreggibile bugiardo”. A tal proposito, c’è la questione del tentativo di fuga alla vista dei militari il giorno dell’arresto, negato ora da Bossetti, secondo cui stava invece andando incontro ai carabinieri, ma all’epoca aveva fornito una tesi diversa: aveva spiegato che era stato un gesto istintivo dovuto alla paura nei confronti dei carabinieri, senza chiarirne il motivo.
YARA GAMBIRASIO, I DUBBI E LE PRESUNTE FORZATURE
Avrebbe meritato più attenzione anche il riferimento alle circostanze relative al ritrovamento del corpo di Yara Gambirasio nel campo incolto di Chignolo d’isola, visto che tra le ipotesi della difesa c’è quella che la tredicenne non sia morta lì, ma altrove, per poi essere lasciata lì in un secondo momento. Occorre ricordare che la scoperta del cadavere è stata fatta a tre mesi dalla scomparsa dall’aeromodellista Ilario Scotti, mentre cercava il suo aeroplanino telecomandato. Le indagini hanno accertato che il corpo non era visibile e ciò spiegherebbe perché i volontari della protezione civile che aveva perlustrato quel terreno non si erano spinti all’interno dello stesso, che ha un’estensione di 7.000 mq e il cui attraversamento era difficoltoso. Inoltre, il corpo aveva “un colore indistinguibile rispetto a quello del terreno”. Poteva essere forse stato in un terreno con una vegetazione simile visto che le specie botaniche ivi presenti sono diffuse? Il consulente botanico ha concluso che è “piuttosto improbabile”. Ci sono poi indagini geologiche che hanno concluso che 8 elementi su 20 del terriccio erano statisticamente identici al suolo circostante.
Spazio nella docu-serie “Il caso Yara – Oltre ogni ragionevole dubbio” viene dato anche alla questione della cella telefonica, che comprenderebbe l’abitazione di Massimo Bossetti: nelle carte processuali si rimarca che quest’ultima “è coperta dalla cella di Mapello Centro, e non di Mapello via Natta, oltre che dalla cella di Terno d’Isola, via Carbonera (che, infatti, Bossetti aggancia quando si trova a casa)”. Per questo motivo è stata ritenuta infondata l’obiezione della difesa secondo cui Bossetti era a casa o si stava dirigendo verso essa. Tra l’altro, dalle intercettazioni ambientali è emerso che alla moglie aveva spiegato che aveva il telefono spento nell’orario in cui Yara Gambirasio era sparita, eppure agli inquirenti ha sempre ribadito di non ricordare cosa avesse fatto quel pomeriggio. “Come puoi ricordarti che hai il telefono spento e non ti ricordi dov’eri?”, chiedeva Marita Comi. Inoltre, Bossetti non ha mai negato di essere passato vicino alla palestra quel pomeriggio.
La docu-serie avrebbe potuto riportare anche quanto emerso sulla questione delle immagini estrapolate dalle telecamere e fornite ai media, alla forzatura degli investigatori sul furgone che è passato spesso attorno alla palestra dove si trovava Yara Gambirasio. I giudici hanno precisato che il materiale ricevuto dalle parti e dal collegio non ha nulla a che vedere con quello fornito ai media, che comunque “non era una falsa ricostruzione”, bensì “una estrapolazione e collegamento delle varie immagini originali estratte dalle telecamere”.
La prova genetica e gli elementi indiziari raccolti sono così “forti” da non far ritenere essenziale per i giudici l’individuazione di un preciso movente, che comunque viene circoscritto “nell’area delle avances sessuali respinte, della conseguente reazione dell’aggressore a tale rifiuto, unita al sicuro timore dello stesso di essere riconosciuto per aver commesso nei confronti della ragazza qualcosa di grave”.
OMICIDIO YARA GAMBIRASIO LE PISTE ALTERNATIVE
Nella docu-serie vengono riproposti vecchi sospetti e dubbi, come nel caso della maestra di ginnastica e il custode della palestra, ai quali viene riservata la scritta “non sono stati mai indagati”. Eppure, le carte processuali forniscono risposte. Ad esempio, per quanto riguarda l’istruttrice di danza Silvia Brena, su cui rischia di allungarsi un’ombra, in Appello, in merito alla traccia genetica sulla manica destra del piumino di Yara Gambirasio, si scriveva che non si trattava di sangue e che “la collocazione della traccia e l’assidua frequentazione della Brena con Yara Gambirasio”, che si vedevano regolarmente due o tre volte alla settimana, oltre alle gare domenicali, “privano di significatività il ritrovamento del Dna”. Inoltre, ci sono stati altri accertamenti (Brena e i suoi familiari sono stati ripetutamente sentiti, intercettati e sottoposti a tampone salivare) che non hanno rilevato niente che potesse far sospettare il loro coinvolgimento nell’omicidio. Nulla è emerso anche a carico di Valter Brembilla, il custode della palestra, così come sulla pista dell’uomo di colore che aveva dato fastidio alla fisioterapista del centro sportivo, Antonella Console, cui comunque non si fa riferimento nella docu-serie.
Sono tanti gli aspetti che la docu-serie “Il caso Yara – Oltre ogni ragionevole dubbio” avrebbe potuto citare, se non approfondire. Ad esempio, dalle intercettazioni ambientali, dai tabulati e dalle ammissioni dello stesso imputato è emerso che aveva litigato con la moglie, “con la quale evidentemente in quel periodo non aveva rapporti sessuali”, ma ci sono anche lettere inviate a una detenuta che “dimostrano come Massimo Bossetti avesse pulsioni sessuali così intense da manifestarle addirittura verso una persona mai vista né contattata personalmente”.
Quella sensazione iniziale lascia al posto ad un’altra, cioè che Massimo Bossetti e/o la sua difesa, nel disperato tentativo di far riaprire il caso, abbiano deciso di cavalcare quell’onda mediatica nota come corrente innocentista che ha abbracciato altri casi di cronaca nera e che i mass media, che lo avevano dipinto come un mostro per aver ucciso Yara Gambirasio, ora siano pronti a descriverlo come il povero innocente.