Maurizio Corbetta dal 2016 dirige la clinica di Neurologia dell’università di Padova, dopo 28 anni negli Stati Uniti. Si tratta di uno degli studiosi più citati nella letteratura scientifica. A Repubblica, l’esperto spiega: “Un articolo di biologia è citato in media da 5 articoli successivi. Un nostro lavoro del 2002 è arrivato a 15mila. Ma ci sono lavori di premi Nobel citati pochissimo”. Uno dei suoi articoli parlava ad esempio “di uno dei beni più preziosi che abbiamo: l’attenzione. Spiegava che non siamo fatti per il multitasking e dobbiamo curare la nostra capacità di concentrazione. Come il tempo e l’energia, è sempre più scarsa”.
Lui stesso si dice “vittima della dipendenza da cellulare. Ma se devo studiare o scrivere lo sposto lontano. I telefoni sono una fucina di stimoli distraenti e ci fanno una piccola doccia di dopamina a ogni messaggio, creando piacere e dipendenza. Tenendolo sempre in mano lo abbiamo fatto diventare un’estensione del corpo. Si sa da molti esperimenti che se una scimmia o un uomo usano a lungo un attrezzo, i neuroni lo incorporano come un prolungamento della mano. Da qualche parte nell’area parietale del cervello probabilmente abbiamo già i neuroni dedicati al cellulare”. Un altro suo studio spiega che non è vero che usiamo solo il 10% del cervello: “Le aree del cervello impegnate se vaghiamo con la mente sono le stesse impegnate durante un compito. Il cervello non riposa mai. Con gli occhi chiusi, senza pensare, lui ripassa quel che ha imparato in precedenza, richiama alla memoria episodi della vita, assembla le nozioni che ha e prova a prevedere il futuro”.
Corbetta: “Cervello? Forse ci impianteremo un chip per migliorare”
Il cervello, oggi, è una “macchina inadeguata”. A dirlo è Maurizio Corbetta che dirige la clinica di Neurologia dell’università di Padova. “È un cervello adatto a mangiare, sopravvivere e procreare. Invece deve prendere decisioni complesse. Ci siamo evoluti nella savana cercando di arrivare all’indomani. Vogliamo ricompense nel giro di minuti, al massimo giorni. E invece siamo chiamati a fare scelte valide per i prossimi decenni, ad affrontare problemi di lungo termine come il cambiamento climatico. Siamo chiaramente inadatti per questo. Forse un giorno ci impianteremo un chip nella testa per migliorare” sottolinea a Repubblica.
Da qualche tempo abbiamo anche l’intelligenza artificiale: “C’è chi sostiene che ci libererà dal lavoro lasciandoci il tempo per la creatività. Ma come si alimenterà questa creatività? Abbiamo affidato la capacità di orientarci al navigatore, la memoria a zio Google, cederemo a ChatGpt la capacità di scrivere testi o risolvere problemi. Cosa ci resterà da pensare? Per ragionare il cervello ha bisogno di elementi che trova dentro di sé. I mandarini cinesi imparavano una caterva di nozioni prima di governare. Noi ci accontentiamo di un apprendimento superficiale. Essere creativi in questa condizione sarebbe come dipingere un quadro senza sporcarsi le mani con i colori” ironizza lo scienziato.