Il Commissario Maigret, compie 90 anni. La prima avventura scritta da Georges Simenon fu “Pietr il Lettone” a cui se ne aggiunsero altre 74. Successo planetari. In Italia ebbe il suo apice con la trasposizione in 35 sceneggiati televisivi, Le inchieste del Commissario Maigret, interpretato da Gino Cervi dal 1964 al 1972, anno in cui uscì poi l’ultimo romanzo con protagonista il commissario di Simenon.
Vi presenterò quattro film, tre dei quali con Jean Gabin e uno con Gino Cervi nelle vesti di Maigret. Forse in pochi lo sanno, ma già nel 1961 Leonardo Sciascia scrisse vari articoli sul nostro pulotto e sui maggiori scrittori di libri noir e i loro eroi, oggi raccolti in un libricino edito da Adelphi, “Il metodo del commissario Maigret e altri scritti sul giallo”.
“Il metodo di indagine del commissario Maigret non procede per indizi materiali, per deduzioni positive, come quelle di Sherlock Holmes; né attraverso la cerebrale algebrica ricostruzione del crimine, come quello di Poirot.” (Pag. 95)
Non c’è la supponenza del piccoletto coi baffi di Agata Christie, dove spesso le trame sono inverosimili, come ad esempio in “Assassinio sull’Orient Express”; oppure al puro scientismo di Arthur Conan Doyle, che anticipa forse il CSI – Scene del crimine che spesso vediamo in tv.
“Con un’aria di massiccia ottusità, Maigret è un uomo che si affida alla conoscenza del cuore umano e alle istantanee intuizioni: sa cogliere nella vibrazione della voce, nell’esitazione di un gesto, nell’arredamento di una stanza, più verità che nelle impronte digitali e nelle perizie balistiche. Non è un fanatico della legge: qualche volta lascia persino che il colpevole non paghi nella misura della legge; gli basta sapere che pagherà nella misura del rimorso.” (pag. 96)
Maigret non sfrucuglia nelle pieghe degli omicidi (pensate invece ai tanti programmi tv che ci assillano), non esaspera il delitto in quanto male assoluto, è cosciente che a chiunque (anche all’Abele di turno) può scattare il guizzo criminale. Come dire che tutti possiamo sbagliare, anzi, tutti siamo peccatori.
Mi ha sempre colpito l’affermazione che spesso Simenon mette in bocca a Maigret: “Io non penso mai”, lui è un uomo che vede e osserva. Continua Sciascia:“E il vedere gli uomini e l’amarli si possono considerare come qualità peculiari di Simenon: qualità che permettono allo scrittore di giungere alla verità dell’uomo così come a Maigret permettono di giungere alla soluzione di un caso” (pag. 102)
E ancora:“Maigret vede: vede perché ama. Non c’è personaggio, nella letteratura contemporanea, che ami la vita e gli uomini quanto Maigret” (pag. 103).
Molti dei personaggi dei romanzi li aveva incontrati nella vita reale e li aveva adattati per i suoi libri: si fermava nei bar, nelle osterie, sulle chiuse fluviali ed osservava la gente. Prediligeva i poveracci, i falliti, chi era solo. La solitudine contraddistingue la vita di molti suoi personaggi, in primis Maigret, uomo che non dava quasi mai giudizi morali sui suoi indagati.
Simenon conosceva gli uomini, ma non si considerava uno psicologo, diceva di se stesso: “Ancora una volta, è piuttosto una questione di sensibilità… Essere psicologo presuppone un’intelligenza, io non ne ho.”
Oltre al libro di Sciascia vi consiglio anche “Conversazioni con Simenon” di Francis Lacassin e “Intervista con Georges Simenon” di Carvel Collins. Il primo è ancora in circolazione edito da Lindau, mentre il secondo è fuori catalogo ed è di Minimum Fax.
A scrivere un episodio di Maigret Simenon impiegava non più di 11 giorni. Si isolava da tutti, sospendeva gli appuntamenti, non si faceva passare le telefonate. Aveva una libreria piena zeppa di guide telefoniche della Francia, da cui attingeva per i nomi dei protagonisti dei suoi romanzi. Ne sceglieva 30 e man mano ne scartava fino ad arrivare a un massimo di 12. Passeggiava avanti e indietro per la stanza ripetendo a voce alta i nomi scelti, scartando quelli che non gli suonavano bene. Poi redigeva il profilo di ciascuno dei rimanenti e iniziava a scrivere a macchina il romanzo con protagonista Maigret.
In queste interviste raccontava che il suo modo di scrivere è molto essenziale e chiaro, non arzigogolato. Dopo la prima battitura rileggeva e toglieva tutti gli aggettivi e le frasi che gli sembravano superflue. Il lettore doveva entrare subito nella scena. Una scrittura asciutta, che non poteva contemplare, ad esempio, la parola crepuscolare. Diceva che se guardi una mela in un dipinto da Cezanne, capisci subito che il pittore ha dato pennellate semplici e decise, e così voleva che fosse la sua scrittura.