Come era bella e poetica la descrizione che Fabrizio De André faceva della Sardegna: “La vita in Sardegna è, forse, la migliore che un uomo possa augurarsi: ventiquattromila chilometri di foreste, di campagne, di coste immerse in un mare miracoloso dovrebbero coincidere con quello che io consiglierei al buon Dio di regalarci come Paradiso”. Ed è su questo paradiso in terra, nel buio della notte del 27 febbraio, a cose fatte, che appare questo nuovo homo politicus, prodotto di laboratorio, pronto all’uso ed abilissimo ad intestarsi ed impadronirsi di una vittoria fino a quel momento insperata. È il Conte Schlein, che vola a Cagliari portato dal “vento del cambiamento” per seguire le ultime battute del lentissimo spoglio elettorale.
La povera candidata Todde, frastornata e confusa, rilascia una prima breve dichiarazione in solitaria. Ma subito dopo, con un coup de théâtre, si presenta alla stampa, che nel frattempo affolla il suo comitato elettorale, stretta al Conte Schlein. I poveri sardi, accorsi per festeggiare la nuova governatrice, ascoltano una Todde adorante e commossa: “Sono contenta di essere qui con il Conte Schlein, perché ci ha creduto e ha investito su questo risultato”. Quindi, tocca al Conte Schlein: “Sono date storiche. Prima donna presidente della Regione Sardegna e anche, devo dire con orgoglio, la prima volta che il mio casato esprime un presidente di Regione”. È stato fatto un gran lavoro, dice il Conte Schlein, sorridente davanti ai cronisti, sottolineando che un risultato così sorprendente “fa ben sperare per il futuro”.
“C’era chi non scommetteva che saremmo arrivati fino a qui…”, aggiunge, rispondendo convinto a un cronista che gli chiede se “cambia il vento”. “Sì, cambia il vento”.
Il Conte Schlein appare come quei personaggi descritti da De André: “Quelli risolvono tutti i problemi del mezzogiorno svegliandosi all’una”. Come tutti i nobili. A sentirlo parlare, sembra la reincarnazione del Conte zio. Come è sorprendentemente attuale il Conte zio descritto da Manzoni nei Promessi sposi. Il Conte zio è personaggio tronfio e vanaglorioso, abile nell’arte sottile di simulare e dissimulare e capace all’occorrenza di minacciare e lusingare pur di ottenere i suoi scopi; rappresenta il potere politico in quanto fondato su menzogna e finzione.
Il Conte zio era stato messo lì per accontentare il popolo dei vaffa, dandogli l’illusione di partecipare al governo della cosa pubblica. Il Conte zio è un anonimo. È così sostanzialmente nullo, che si direbbe non gli convenga neppure quella qualunque fisionomia che dà un nome proprio. Ma ha la forza della sua stessa nullità. Accoppiata alla sua qualità di conte, quella nullità si trasforma in una risultante tutta prestigiosa, che si chiama credito: in una virtù fatta di illusione, di prospettiva ottica che svanisce in niente ogni volta che le si va vicino. Il Conte zio sa che la sua forza è in questo credito: egli non ha mai niente da dire, niente da proporre; ma nel far valere quel niente, nel lasciar intravvedere chi sa che in quel niente, è maestro.
Egli è goffo, vanaglorioso, pieno di orgoglio di classe. Nel suo parlare, nel suo dire e non dire, nel suo gesticolare, nel suo soffiare, nel suo trattenersi e fingere di conoscere grandi segreti, si rivela tutta la sua inconsistenza. L’ipocrisia e l’abilità diplomatica del Conte zio discendono dalla tradizione giuridica, borghese e mondana e sono perfezionate dalla recente ed improvvisa esperienza politica. “L’aria è cambiata”, “Cambia il vento, c’era chi non scommetteva neanche che arrivassimo fino a qui” continua a ripetere incredulo il Conte Schlein.
Ed ora il Conte Schlein, con il vento a favore, puntava diritto sull’Abruzzo, ma il maestrale della Sardegna non supera l’Appennino e non arriva in Abruzzo. Si erano affrettati a riscrivere il nuovo manifesto del XXI secolo: “Uno spettro si aggira per l’Italia: lo spettro del contismo”. Oh, sfortunato Conte Schlein (direbbe Pasolini) che avevi visto a portata di mano una meravigliosa vittoria che non esisteva!
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