Quando si dice l’eterogenesi dei fini. Concepito per incentivare l’occupazione marittima, il provvedimento del ministro Delrio che vincola una serie di agevolazioni al reclutamento di solo personale nazionale o comunitario nei traffici di cabotaggio – laddove la concorrenza è libera di assumere dove maggiore è la convenienza – avrà il doppio effetto negativo di spingere gli armatori italiani penalizzati dalla normativa a cambiare bandiera con la conseguente perdita di almeno 1.500 posti di lavoro.

La contraddizione scoppia durante l’assemblea di Confitarma per bocca del presidente Manuel Grimaldi, che al ministro chiede di intervenire al più presto – il testo è ancora al vaglio del Parlamento – per evitare che il settore impegnato in una gigante battaglia per la sopravvivenza s’indebolisca a causa di chi dovrebbe invece provvedere a rinforzarlo e in nome di un principio che non esiste in nessun paese concorrente.

Nonostante la crisi che è internazionale, e che quindi colpisce su più fronti questa particolare categoria d’impresa, gli armatori italiani hanno continuato a investire e crescere, tanto da aver raddoppiato stazza e occupazione dal 2008 al 2015 passando da 7,8 a 16,5 milioni di tonnellate e da 30mila a 63mila unità. Un successo dovuto alla maggiore flessibilità introdotta nel settore, quella flessibilità che oggi si viene a negare con perdita di competitività e aumento dei costi.

“Non ci saranno vantaggi per nessuno – sintetizza Grimaldi a beneficio del ministro -, ma danni per tutti: armatori, marittimi, utenza. In pratica per l’intero sistema Paese”. Delrio ascolta e promette che si occuperà del problema ammettendo di aver forse sottovalutato l’impatto sul mercato del lavoro di una scelta nata per favorire e non certo scoraggiare l’occupazione italiana. E ancora una volta l’eccesso di regolamentazione rischia di giocare brutti scherzi forzando gli attori economici a decisioni che il mercato non consiglierebbe.

Anche su alcuni aspetti della riforma delle Autorità portuali – per le quali Delrio afferma di aver definito tutte le nomine -, gli armatori hanno qualcosa da eccepire. In particolare, nella formazione degli enti di gestione che non prevedono al loro interno esponenti dell’impresa privata ma solo rappresentanti pubblici, con la possibile criticità di affrontare qualsiasi argomento con un solo punto di vista e nemmeno il più illuminato.

Insomma, nonostante il tradizionale buon rapporto tra il titolare dei Trasporti e i protagonisti dell’economia del mare – su cui tutti i governi, e questo in particolare, dicono di voler puntare – non mancano elementi di frizione dovuti, da una parte, a un eccesso di intromissione e, dall’altra, a una pura e semplice esclusione dalla cabina di comando. La richiesta di Grimaldi è di invertire la rotta e tornare a quel rapporto di collaborazione feconda che ha condotto a un successo comune.