L’appuntamento è per giovedì 10 al Tempio di Adriano. Sarà l’occasione per la Svimez di dire che finalmente la tendenza si è invertita anche per il Mezzogiorno e che, anzi, le regioni meridionali nel 2015, e si spera anche nel 2016, hanno corso più di quelle centro-settentrionali, dimostrando una maggiore elasticità rispetto alle misure del governo. Si tratta, ovviamente, di piccoli passi misurati nell’ordine degli zero virgola come siamo ormai abituati da tempo. Ma in tempi di magra e di recessione come quelli che il Sud ha conosciuto dall’inizio della crisi nel 2008 a oggi, con il 30% della capacità produttiva andato perso, anche una rondine riesce a fare primavera.
La rondine in questione non cancella i grandi problemi strutturali e di competitività, spiega il rapporto, ma indica che il Mezzogiorno è vivo nonostante tutto e lotta con il resto del Paese per riproporsi all’attenzione internazionale, soprattutto con le punte avanzate delle sue imprese che si annidano nei settori trainanti dell’automotive, dell’aerospazio, dell’abbigliamento e dell’alimentare. Anche il turismo comincia a dare segnali di conforto e se la distanza tra l’attualità e le potenzialità resta enorme vuol dire che c’è un ampio spazio da poter colmare se s’imbroccasse finalmente la strada giusta. Scelte in larga parte per le difficili condizioni di vivibilità di altre aree del Mediterraneo, dove imperversano rivolgimenti politici e conflitti armati, le località prescelte non deludono le attese.
I Patti col governo firmati nei mesi passati dalle Regioni e dalle aree metropolitane, l’ultimo dei quali qualche giorno fa tra Renzi e il sindaco di Napoli de Magistris, riversano su territori un bel po’ di risorse in grado di far ripartire gli investimenti pubblici cui agganciare quelli privati fin qui molto timidi per mancanza di prospettive di crescita.
Certo, si tratta ancora una volta di completare vecchie iniziative, mancando un parco progetti degno di questo nome, come più volte ricordato con rammarico dal vice presidente della Bei Dario Scannapieco, ma l’effetto della ripresa dei lavori può produrre una doppia utilità: in sé dal momento che comunque si mette in moto un’economia ristagnante e per l’impatto che le opere potranno avere sul recupero di competitività una volta consegnate all’uso collettivo.
La sfida, suggerisce la Svimez, è evitare che la dinamica positiva appena accennata assuma il carattere solito dell’eccezionalità senza innescare il circolo virtuoso da tutti invocato. Sulla capacità di impegnare presto e bene i fondi disponibili, di smarcarsi da vecchie pratiche collusive con i pezzi peggiori della società, di non cadere nella trappola burocratica che tutto paralizza, si gioca il destino di una classe dirigente che deve cercare sul campo la sua legittimazione.