Chi può vantare oggi di essere un grande sociologo, un grande politico, un grande urbanista, un grande scrittore, un grande esteta, un grande mecenate e per finire un grande imprenditore? La domanda è rimasta naturalmente senza risposta nella grande sala dell’Unione degli industriali di Napoli che ospitava un ricordo di Adriano Olivetti che era tutte queste cose messe insieme e chissà cos’altro sarebbe diventato se non fosse morto relativamente giovane a 59 anni.

L’occasione per riflettere sui valori e le opere di un uomo tanto singolare quanto celebrato (ma non è detto che sia un bene) l’ha fornita la Fondazione con il Sud presieduta da Carlo Borgomeo, che per festeggiare i suoi dieci anni di vita ha organizzato un convegno itinerante proponendo in diverse piazze d’Italia il ricordo di cinque grandi figure del recente passato: Danilo Dolci, Renata Fonte, don Lorenzo Milani, Franco Basaglia e, appunto, Olivetti.

Così si sono ritrovati a ragionare sulla complessità e completezza dell’uomo, sull’eredità ricevuta dal padre Camillo e su quella lasciata ai posteri, studiosi del calibro di Domenico De Masi, Marco Vitale, Luca Zevi, Daniele Marrama, Beniamino de’ Liguori Carino stimolati dal presidente degli industriali di Napoli Ambrogio Prezioso. Il tutto accompagnato da due testimonianze di successo nel lavoro e nell’impresa sul Birrificio di Messina e sulla Gma di Giugliano.

Dunque ci sono tutti i presupposti per svolgere una riflessione attenta su quello che Olivetti ha rappresentato per il Paese e soprattutto per il Mezzogiorno che, lui nato e formatosi a Ivrea, aveva mostrato di capire meglio e dove aveva certamente realizzato più di tanti meridionalisti in servizio permanente attivo svolto a parole e disatteso nei fatti. La discussione è stata condotta da Paola Severini Melograni e diffusa per Radio Rai a conferma dell’intento divulgativo dell’incontro. Eh sì, perché il sovversivo Adriano – come un rapporto della Polizia lo definiva quando aveva 29 anni – ha davvero cambiato il modo di concepire il ruolo dell’impresa e dell’imprenditore il cui fine ultimo non è accaparrarsi un profitto costi quel che costi, ma rendere la sua fabbrica solidale con il territorio in uno scambio virtuoso e foriero di benefici per tutti i partecipanti. Le esperienze e gli investimenti a Pozzuoli e Matera stanno lì a dimostrarlo.

L’uomo d’impresa, secondo l’insegnamento olivettiano, ha prima di tutto il dovere di riformare il presente. E, naturalmente, dovrebbe esserne capace. La Fondazione di Comunità voluta da Adriano per dare vita ai suoi sogni (gli unici in grado di portare a cose concrete) ha per logo una campana che “ognuno può suonare senza timore e senza esitazione – spiegò il fondatore – e vibra ogni qualvolta è in gioco il diritto contro la violenza, il debole contro il potente…”.

La campana, insomma, suona per la parte migliore di tutti noi e per renderci vigili sulle nostre responsabilità. I fatti si sono incaricati di dimostrare che non c’è stato nulla di più concreto dell’utopia di Adriano i cui insegnamenti sono adesso studiati come rimedio alla crisi politica ed economica che sta attraversando e spaventando il mondo. Tanto da aver indotto un guru dell’accademia americana come Philip Kotler a proporre come rimedio il Conscious Capitalism. Il Capitalismo Consapevole di Adriano Olivetti, appunto.