Il sangue di San Gennaro era già sciolto quando l’arcivescovo Crescenzio Sepe, circondato dalla solita folla immensa, ha tratto la preziosa ampolla dalla cella che la custodisce nella cappella dedicata al patrono della città. È da un paio di anni che questo accade e il popolo partenopeo lo prende per un buon auspicio, un segno di sollecitudine per ripagarlo dai tanti affanni che prova ogni giorno e che invece di diminuire aumentano in numero e intensità.

L’umore della platea era buono anche perché il Napoli, termometro degli umori metropolitani, esattamente il giorno prima era balzato in vetta alla classifica avendo la rivale Juventus perso dall’Inter. Il che per i tifosi azzurri rappresenta una doppia soddisfazione che con tutta evidenza il santo aveva voluto regalare ai fedeli prima di incontrarli nel giorno della sua grande festa.

Ma il primato del pallone, tanto gradito quanto effimero, non può cancellare le piaghe che il cardinale — come in ogni circostanza nei dieci anni del suo servizio napoletano — ha puntualmente indicato alla platea e che si può sintetizzare nella mancanza di lavoro anche “causa della grave crisi di legalità che attanaglia mortalmente la città provocando criminalità e favorendo l’organizzazione della malavita che facilmente arruola ragazzi nelle file del crimine”.

È proprio così. Le bande giovanili si stanno impadronendo degli spazi pubblici seminando terrore nelle strade e nelle piazze dove agiscono con sempre maggiore audacia. Spariti i vecchi boss, morti ammazzati o catturati da un’incisiva azione delle forze dell’ordine, la paranza dei bambini sta occupando il vuoto con una ferocia mai conosciuta, frutto dell’irresponsabilità di chi ha stabilito che non ha nulla da perdere e che l’unica via per imporsi è la violenza.

Non hanno modelli positivi questi baby gangster che nascono e vivono in quartieri impossibili e che considerano come unica possibilità di riscatto sociale il portare tormento nelle zone cosiddette buone, che diventano per questa via meno sicure e dove trovarsi a tu per tu con l’imprevisto di una stesa, una sparata all’impazzata, diventa sempre più frequente.

Senza voler drammatizzare e considerando il richiamo turistico di un territorio davvero tra i più ricchi del mondo per bellezze naturali artistiche e storiche, Napoli deve immaginare e costruire con pazienza il suo futuro che non può essere di morte. “Nella solennità del nostro Patrono — ha invocato il cardinale dal pulpito del Duomo — vorrei si sciogliesse anche il sangue di questa promessa: una Chiesa e una città tanto piene di misericordia da far cadere le braccia di chi ancora impugna armi facendosi schiavo dell’odio”.

A Napoli più che altrove, avvertiti dall’insegnamento di Papa Giovanni Paolo II che l’aveva tanto amata conquistandone il cuore, occorre imparare a progettare la speranza.