Stupisce il dato della produzione industriale italiana che a dicembre 2016 cresce dell’1,4 per cento su novembre e del 6,6 per cento sullo stesso mese dell’anno precedente. Stupisce ancora di più se si considera che l’aspettativa era per un calo. E le spiegazioni postume non possono che somigliare alla classica arrampicata sugli specchi. Si legge nel bollettino dell’Istat che il successo è dovuto in buona misura all’export che si sta sostituendo come motore di crescita al mercato interno diventato praticamente piatto. In questo caso non partecipano alla festa i distretti del Mezzogiorno se è vero che il risultato finale è in flessione come il rapporto Monitor di Banca Intesa afferma.
Certo, al di là della specificità delle singole imprese ci sono settori che vanno bene e altri che vanno male. Ma la media che concorre a formare la consistenza nazionale è sotto lo zero. Un segnale che indica un ulteriore allontanamento tra il Nord e il Sud del Paese, già distanti in termini economici (e non solo) più di quanto non accada altrove in Europa.
Siccome è bene guardare al bicchiere mezzo pieno, è possibile che il sistema produttivo ampiamente inteso stia recuperando produttività e quindi capacità competitiva attraverso aggiustamenti che ciascun capo azienda sta introducendo in fabbrica e in ufficio, consapevole di essere alle prese con una lotta bruta per la sopravvivenza. L’Italia possiede la seconda manifattura d’Europa dietro la ferrea Germania e sopravanza di poco la Francia invidiosa che tenta il recupero. Bisogna difendere le posizioni acquisite e conquistarne di nuove in un mondo nel quale le relazioni minacciano di farsi sempre più dure e somiglianti ai leader che s’impongono via via sulla scena.
Purtroppo non manca il bicchiere mezzo vuoto ed è rappresentato dall’endemica mancanza di occupazione soprattutto tra i giovani e in particolare meridionali. La tecnologia sta distruggendo posti che non sono rimpiazzati. E nessuno sa se lo saranno mai, perché il cambiamento è così radicale da non somigliare a niente che si sia già sperimentato. Con una coraggiosa iniziativa la Curia di Napoli ha chiamato a raccolta cento vescovi per parlare all’ombra del Vesuvio di Chiesa e Lavoro. Non un’invasione nel campo della politica, per quanto sguarnito sia stato lasciato, ma la presa di coscienza che a fenomeni eccezionali si risponde con eccezionali misure. Uno stimolo a ricordare che la questione è viva.
All’invito del Cardinale Crescenzio Sepe hanno risposto istituzioni locali e nazionali con una diffusa presenza delle regioni meridionali che più avvertono il problema e al tempo stesso possiederebbero gli strumenti per risolverlo. Ma, per quanto necessaria, una sana e buona amministrazione non è sufficiente a fornire risposte a domande sempre più complesse. Oggi più di ieri occorre aggiungere ai fattori da cui dipende la ricchezza delle nazioni i due già raccomandati ai suoi contemporanei da Carlo Cattaneo: intelligenza e volontà.