In attesa che la Cina scopra le carte del piano di pace, Putin finalmente ha parlato. Lo ha fatto ad un anno dall’inizio della “operazione speciale”, la guerra di aggressione contro l’Ucraina, e il discorso è caduto in giorni pieni di movimenti diplomatici di altissimo livello tra Mosca e Kiev. Lunedì infatti il presidente americano è arrivato all’improvviso a Kiev e ieri era in Polonia dove ha risposto a Putin in una sfida retorica a distanza.
Viaggio dal forte impatto politico, simbolico e sostanziale, a garantire di persona l’impegno americano a fianco dell’alleato – questo è l’Ucraina – aggredito e a congratularsi con la nuova colonna della Nato, la Polonia. Così anche la concomitante presenza della nostra presidente del Consiglio Giorgia Meloni nella capitale ucraina assume un significato particolare, come a sottolineare un’unità occidentale tra Paesi al di là del peso e delle diversità di vedute.
Nell’anniversario della guerra, dopo aver partecipato a Monaco alla conferenza sulla sicurezza, è invece arrivato a Mosca Wang Yi, il capo della diplomazia del partito comunista cinese, che si è incontrato con i massimi vertici russi, tra cui il segretario del Consiglio di sicurezza russo Patrushev, con in tasca una proposta ancora segreta di accordo sulla guerra e un avvertimento agli Usa a non aggiungere benzina sul fuoco e non trarre “profitti dal conflitto”, e con un messaggio chiaro. Tutti i contendenti devono evitare di arrivare ad una guerra nucleare. E ha aggiunto che “le relazioni sino-russe sono solide come una roccia e resisteranno a qualsiasi prova della mutevole situazione internazionale”.
E l’attenzione sulle armi nucleari è forse la maggiore novità del discorso di Putin, tenuto in modo solenne davanti ad un’imponente assemblea di deputati, funzionari, autorità, dignitari, insomma tutta la nomenclatura politica russa. Il presidente russo ha ribadito che la Russia non userà per prima le armi nucleari ma la vera notizia è che Mosca “sospende” ma “non esce” dai colloqui per il rinnovo degli accordi New Start, acronimo di Strategic Arms Reduction Treaty, l’accordo per la riduzione e limitazione di armi nucleari strategiche per uso offensivo. Il primo accordo New Start fu firmato a Praga l’8 aprile 2010 tra gli allora presidenti degli Usa e della Russia Barack Obama e Dmitri Medvedev e prese il posto dei vecchi Start 1 e 2. Entrato in vigore il 5 febbraio 2011, prorogato ogni cinque anni, la prossima scadenza doveva essere nel febbraio 2026. Putin, quindi, ne ha annunciato la sospensione con tre anni di anticipo. Gli Start sono un famiglia di accordi che hanno un alto valore anche simbolico perché la loro nascita avvenne il 31 luglio 1991, poco prima del collasso dell’Urss. Erano insomma il segno tangibile della fine della Guerra fredda. Ma le parole hanno la loro importanza: una sospensione è una misura temporanea, che però aggiunge un nuovo ostacolo. Immediate le reazioni sia da parte americana che della Nato.
Un passaggio significativo ad uso interno è rappresentato dall’attacco agli oligarchi, che invece di lamentarsi per i loro privilegi colpiti dalle sanzioni occidentali, devono rinvestire i loro capitali nella madrepatria.
Significativo anche l’inserimento della guerra in corso entro un quadro internazionale in cambiamento, dove la Russia sta combattendo un pezzo della battaglia contro il predominio economico di Washington, la sua visione unilaterale della sicurezza, perché l’Occidente non sta combattendo la Russia solo sul piano militare ma su tutti i fronti, specialmente su quello economico, come dimostrano le sanzioni che però non hanno causato secondo il presidente russo grossi danni, dato che il Pil è caduto solo del 2,1% e non del paventato 15 o 20%, ma – fatto ancor più notevole – la Russia assieme ad altri Paesi e prima di tutti la Cina sta sviluppando un nuovo sistema monetario indipendente dal dollaro.
Da notare che su questo punto, nella lotta contro il predominio americano e la sua concezione di ordine internazionale, Mosca non è sola. La sua posizione infatti è condivisa in toto, e sicuramente con più chances di successo, dalla Cina, che pochi giorni fa ha licenziato The Global Security Initiative Concept Paper sulla linea del Global Security Initiative lanciata da Xi Jinping al forum di Boao, soprannominata “la Davos asiatica”, in Cina l’aprile scorso.
Due i concetti centrali: che la sicurezza mondiale è un concetto indivisibile, comprende tutti gli ambiti della convivenza tra Stati, ed è collettiva. Punti ribaditi a più riprese anche da Putin, che ha ripetuto come la guerra attuale avvenga nel solco di due epopee del Novecento e che ad esse assomigli: la grande lotta contro il nazismo, ideologia di cui l’attuale governo ucraino sarebbe erede, e la lotta contro il colonialismo, di cui gli Stati Uniti e l’Occidente intero sono i figli. Insomma, Russia paladina dei popoli oppressi e Stati Uniti additati come Stato militarista e guerrafondaio che ha causato dal 2001 ad oggi la morte di 900mila persone e 38 milioni di rifugiati nelle guerre da loro scatenate.
Quindi un messaggio chiaro al proprio popolo e a tutti i Paesi dell’ex terzo mondo.
Ultima nota che riguarda il nostro Paese. L’Italia viene citata espressamente due volte, unico Paese occidentale oltre gli Stati Uniti, ma con un accento benevolo, una volta perché i partigiani furono vittime dei crimini efferati della divisione SS “Edelweiss”, nome ripreso da parte di formazioni ucraine – episodio citato a “riprova” dell’adesione al “nazismo” da parte di Kiev. E una seconda nel caso degli aiuti inviati da Mosca durante la pandemia per ricordare le qualità del popolo russo.
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